Craxi come Mussolini?
di Isabella Luconi
«Il socialismo non è più una necessità economica, ma una necessità trascendente, metafisica: è la necessaria realizzazione dell'idea. Il socialismo non è più solo il prodotto del gioco e del travaglio delle forze economiche, ma anche e prevalentemente un atto di volontà». Mussolini, dall'"Avanti", 30 luglio 1913.
Sarà per il ricordo di quel giovane Mussolini con i baffetti e la bombetta in testa: coraggioso impavido idealista, militante di un partito rivoluzionario dal quale si allontanò quando questo non volle fare più la rivoluzione. Sarà per quel richiamo a Garibaldi che sul suo cavallo bianco attraversò quell'insieme di pezzi di terra che riuscì a unire in un unico nome: Italia, e un unico sentimento: Patria. Sarà per quell'affascinante richiamo a quel socialismo democratico di Joseph Proudhon, che spostò l'accento del valore del lavoro più sul piano etico che non su quello economico. Sarà perché entrambi fecero della lotta al comunismo e al capitalismo borghese la loro ragione politica, che mi sembra che il 19 gennaio 2000 sia comunque finita, con la morte di Craxi, la capacità di credere in un'idea, in un valore, in un partito.
Il fascismo agrario e il socialismo si fronteggiarono, si combatterono, il primo prevalse sul secondo, ma avrebbero potuto fondersi e trovare insieme quella famosa terza via che avrebbe superato il capitalismo e il marxismo. Se il socialismo si liberasse dalle pastoie di concetti demagogici quali quelli della fratellanza e della tutela della classe operaia potrebbe essere il seme contenuto nei punti programmatici dei fasci di combattimento, potrebbe essere la nuova destra rivoluzionaria, sociale, moderna, ma con solide radici e basi culturali che poggino sull'individuo, sui suoi valori, quella destra che Marcello Veneziani definisce un «ponte tra padri e figli».
Mussolini come Craxi portarono i loro partiti da una manciata di voti al dominio parlamentare e sociale. Entrambi osannati e applauditi nel momento più alto del consenso, vilipesi e uccisi quando era necessario aprire le porte al comunismo e agli interessi americani in Italia. Al primo ci pensarono i comunisti partigiani dei G.A.P., al secondo hanno pensato politici e giudici mettendo in scena tangentopoli: con essa le porte ai neocomunisti sono definitivamente aperte. D'altronde a chi affidare la battaglia per salvare l'Italia dal comunismo e dal capitalismo americano? Al Berlusca in doppio petto, paladino dell'Italia che lavora e che produce, al leader di A.N. in sobri completi grigi e occhialini dorati da primo della classe, altezzoso e arrogante, che si prende il merito di aver fatto uscire la Destra dal ghetto per congelarla in un centrodestra che di destra ha solo la collocazione fisica nei banchi del Parlamento? Al Berlusca e al Gianfranco Fini ricordiamo che il fascismo e il socialismo non erano i difensori dell'Italia che lavora, ma di quella che non lavora, o di quella che era sfruttata sia nelle fabbriche che dai proprietari terrieri.
Verso Bettino Craxi siamo comunque debitori per due motivi: il primo che con la sua politica impedì il compromesso storico chiudendo in questo modo le porte al comunismo. Il secondo che, dalla conquista dell'Etiopia, non vivemmo mai più un momento di così alto patriottismo, di dignità nazionale, come la notte di Sigonella nell'ottobre dell''85.
Mi consenta, Cavaliere, anche se era Suo amico, e mi consenta Onorevole Fini, nel bene e nel male è scomparso un personaggio, ora sono proprio rimaste solo le "mezze calzette".