Militanti nel F.d.G. (1)
Come cambia il mondo
di Guido Garau
In che senso puoi essere definito un uomo di destra?
«Credo in nessun senso».
In cosa credi oggi?
«Credo in me stesso, nell'amicizia, nei sentimenti».
Nulla di politico?
«No, nulla di politico».
Quando entrai per la prima volta al "Fronte della Gioventù", nel 1993, ero un "pischello" affascinato, più che dalla politica, dal mondo della destra, quello dei vinti, del torto, della vita sacrificata alla eterna causa persa.
Fui invitato a entrare in una stanza da Corrado P., che era scortato da Ludovica e da Milena. Milena sbatteva un poster sulla mano sinistra o così mi sembra, perché la memoria a volte riporta un dato inesatto per rappresentare meglio gli stati d'animo più forti. Infatti ero terrorizzato: respiravo per la prima volta il clima della sezione del gruppo dei giovani fascisti cagliaritani.
Venni interrogato: potevo essere una spia, non essere all'altezza, e io in verità non mi sentivo molto all'altezza. Dietro Corrado, però, c'erano i libri e ne riconobbi uno, "La ragione aveva torto" di Massimo Fini, che avevo letto qualche tempo prima. Parlai dell'Europa, delle radici storiche e culturali. E di quella guerra persa.
Venni accettato e accolto con un'asprezza militare che oggi direi familiare e quasi affettuosa.
Via via conobbi tutti i camerati di allora: Toto, Gianni, Peba, Andrea, Riccardo, Fausto, Massimiliano, Federico, Amanzio, Alessia.
Ricordo Leandro, Paolo e Corrado M.. Paolo è stato un grande esempio di lucidità, rigore, razionalità.
Leandro mi fece conoscere con Tarchi e De Benoist tutto il suo furore e teneva frenetici discorsi politici imbevuti di filosofia che a tutti allora parevano eccelsi e ineccepibili: perché nell'aria c'era un vento di rivolta; il mondo sarebbe cambiato domani, ci diceva quella nostra stretta, e anche se non fosse cambiato esisteva un baluardo, l'ultimo: Altaforte era lì e noi eravamo i suoi eroi.
Incontrai Corrado a un comizio di Fini e da allora il suo stile di vita, da ribelle, che affascina tutte le persone che con lui hanno a che fare, impresse il suo marchio sul mio destino.
Col fronte conobbi poi Alessandro e Giomaria di Olbia, amici dalla intelligenza straordinariamente viva che tuttora frequento, ma che tuttora mi sembrano un po' pazzi e forse lo sono.
Imparai a poco a poco a vivere la vita di Comunità, quella di un gruppo di giovani che condividono il medesimo sogno e vivono di quel sogno, non importa se passato o futuro.
A Nuoro frequentavo Stefano e Bruno: "Sté" pensava il fascismo del futuro e ha finito per lasciarlo nel cassetto; Bruno, invece, era sempre stufo e durante le riunioni diceva che il partito era fermo alla retorica, ma poi all'orecchio mi diceva: «Pensiamo alla figa, Guì, la figa».
Capii di essere un uomo di destra da ragazzo cresciuto, quando quelle esperienze avevano forgiato il carattere e creato vere amicizie.
Oggi succede che Stenio Solinas, intervistato da Massimo Fini a proposito della politica, risponda dicendo ciò che ho riportato all'inizio.
E che Gianni, Peba, Andrea, Leandro, Federico, Milena, se fossero intervistati, darebbero le medesime risposte. Come me.
Dove sono andati i vecchi camerati?
Bruno, ottimo amico, è diventato onorevole. Qualche altro ancora spera. Ma molti, forse i migliori, non fanno più parte del gruppo politico che dovrebbe rappresentarci.
Probabilmente anche per questo: abbiamo dato le migliori energie a una causa persa perché così ci piaceva essere: "dalla parte del torto". E se oggi si sta con la "ragione", il conformismo e si reggono i giochi della politica, senza poter più essere liberi anche solo di portare alle estreme conseguenze i pensieri più assurdi, irraggiungibili, impresentabili, meglio stare con sé stessi, le amicizie, i sentimenti. Non c'è più gusto, né mistero, né fascino in una politica che ricerca la sicura strada del consenso e delle carriere. Il mondo ci diceva che domani sarebbe cambiato e domani potrà anche cambiare, ma senza Altaforte non ci saranno nemmeno i suoi eroi.
E così il gioco si è capovolto, e siamo noi oggi a gridare: «W la figa».
Ma per altri motivi, Bruno, per altri motivi.