Un ambiente allo sfascio
Da un emergenza all'altra: il prezzo di cinquant'anni di errori!
di Giuseppe Caredda
Passata la tempesta, torna la quiete. Restano però i danni, anche stavolta ingenti, e già si annuncia la beffa delle Istituzioni. È la storia che si ripete, da noi e nel resto d'Italia. Almeno in questo siamo un unico, caratteristico Paese, "nero" per i disastri, le sciagure, le calamità, le promesse mai mantenute, le leggi inattuate. Siamo comunque in buona compagnia coi Paesi del terzo e quarto mondo. Siccità, alluvioni, frane, desertificazione, erosione del suolo, inquinamenti... e soldi, tanti soldi che spendiamo ogni anno per mettere in sicurezza, si fa per dire, i corsi d'acqua, sistemare i versanti, ricostruire strade e ponti, garantire alloggi (leggi containers) ai disastrati, disinquinare, salvaguardare, tutelare... e poi studiare, programmare, pianificare, riorganizzare, riqualificare, legiferare...
Il bello è che c'è chi ci guazza in questa situazione di costante emergenza. Non avevamo dubbi d'altronde e non ci meravigliano le inutili discussioni, i dibattiti inconcludenti e i tanti luoghi comuni propinatici in ricette miracolistiche. Il problema della cosiddetta difesa del suolo (in pratica il governo del territorio e di quanto in esso e per esso si attua e si sviluppa), prima ancora che tecnico-giuridico-amministrativo, è culturale, ovvero del senso e della coscienza che noi abbiamo del territorio e dell'ambiente.
Ma è forse chiedere troppo in questi tempi e già sarebbe un risultato eccezionale se si riuscisse ad applicare almeno alcune delle buone vecchie leggi, fra cui quelle datate 1923 e 1933 (legge Serpieri), se non addirittura la più recente e tanto dibattuta legge 183/89 conosciuta come la legge per la difesa del suolo. Tanto basterebbe per innescare la desiderata inversione di tendenza, cominciando col perseguire obiettivi minimi ma razionali, economicamente accettabili e sostenibili per i quali non si giustificherebbe l'inaccettabile e vanificante prassi dei rinvio o del rinnovo. Non un impossibile azzeramento del degrado del territorio e delle sue risorse per un verso, né crisi e rischi continuamente crescenti per l'altro, ma crisi "a meno qualche punto percentuale" rispetto a quest'anno e trend verso valori sempre più in diminuzione. Così operando si avrebbe peraltro la possibilità di constatare, anno dopo anno, l'esito e l'efficacia dei provvedimenti assunti, ridando fiducia alla popolazione.
E invece che cosa non va? E soprattutto che cosa hanno di eccezionale eventi, come quello ultimo accaduto in Sardegna, se si ripetono anche in tutta Italia con una cadenza e una periodicità ormai storica?
Forse l'eccezionalità consiste nella tolleranza delle popolazioni a subire e del Paese tutto a restare pressoché immobile di fronte alle affermazioni di "imprevedibilità" di eventi che ci costano circa 20 miliardi al giorno per le sole riparazioni dei danni derivanti da disastri idrogeologici. Dopo 5400 alluvioni e 11000 frane in ottant'anni, dopo che negli ultimi dieci anni, rispetto agli anni '60, si è quadruplicato il numero delle catastrofi e moltiplicati per otto i danni che ne sono derivati, si vuole credere ancora all'imprevedibilità delle cosiddette calamità naturali? Ma tant'è, oramai è diventata un'abitudine della nostra classe politica denunciare una situazione di crisi indicandone con spregiudicata chiarezza le cause e i fattori, omettendo però un particolare: di costituire essa stessa il primario fattore della crisi.
Si pensi alla sorte della legge 183/89, formidabile e innovativo strumento di governo del territorio e vediamo cosa è stato fatto in Sardegna. Niente o quasi. A distanza di dieci anni dalla sua emanazione, noi ancora non abbiamo ottemperato agli obblighi imposti mentre, questo sì, abbiamo fruito di decine e decine di miliardi che dovevano essere preliminarmente destinati alla messa in sicurezza idrogeologica del territorio.
Insomma è ben evidente che, oltre al fondamentale problema culturale, c'è al fondo una questione di responsabilità politica, di disinteresse, di scarso amore e sentimento per la popolazione e la propria terra. Il ripetersi degli eventi trova inequivocabile risposta nella realtà stessa delle cose, le quali denunciano una situazione antica aggravatasi senza dubbio negli ultimi decenni.
Il suolo, il territorio, l'ambiente, costituiscono l'infrastruttura primaria che regge tutte le altre; il degrado di questa infrastruttura porta conseguentemente al degrado di tutto quanto in essa si realizza. Di eccezionale pertanto resta solo la sordità della classe politica di Governo sia nazionale che locale, nonché la superficialità di certa classe dirigente, anche quella tecnicamente qualificata che spesso non sa o non riesce a far sentire ragioni a chi ha il dovere di provvedere.