Intervista a Maurizio Gasparri
È il mercato, bellezza! La vicenda della scalata di Olivetti a Telecom, interrogativi inquietanti sul futuro delle telecomunicazioni
a cura di Lino Rascunà
1. On. Gasparri, c'è un vero moderno mercato del risparmio in Italia? C'è un azionariato diffuso che assicuri trasparenza e democrazia economica?
Inevitabile rispondere no. Forse, una volta tanto, ha ragione Giuliano Amato, il quale ha detto «abbiamo fatto le azioni, ora facciamo gli azionisti».
2. Cosa serve?
Bisognerebbe creare fondi pensione che possano utilizzare al meglio le risorse finanziarie e rendere meno fragile il nostro mercato.
3. È positiva la scalata Olivetti alla Telecom?
Si può rispondere sì se si pensa alla necessità di eventi, anche "traumatici", che ci facciano capire che il mondo delle imprese e della finanza è cambiato. C'è la concorrenza, c'è il mercato interno e internazionale, si può perdere il controllo se qualcuno ha più fantasia e non necessariamente più risorse di un altro. Uno dei punti deboli del sistema-Italia consiste nella difficoltà di trovare finanziamenti se si ha una buona idea. Il capitale di rischio scarseggia e la crescita economica pure.
4. E dal punto di vista morale?
Fare del moralismo servirebbe a poco. La cordata Olivetti & C. offre anche il vantaggio di mettere in evidenza molte "potenze" piccole e medie del mondo produttivo italiano. Di fronte a una grande avventura molti avranno una occasione di crescita, culturale e di mentalità prima ancora che economica. Un banco di prova dunque anche per tanti soggetti dell'"attivo" Nord-Est ma anche di altre parti d'Italia.
5. Non crede ci siano troppe dolenti note nella vicenda?
Le dolenti note? Una realtà piccola, per mezzi e fatturato, che pensa di ghermirne un'altra ben più grande. L'indebitamento che si addosseranno gli scalatori e che comporta adesso la vendita ai tedeschi di Infostrada e Omnitel e domani ad altri di pezzi di Telecom. L'idea è perfino banale nella sua genialità, ci facciamo prestare soldi per comprare due terzi di Telecom e dopo ne vendiamo un terzo perché per comandare basta il 30% delle azioni, non serve possedere il 60%. L'operazione presenta molti lati oscuri. La Consob dovrebbe in autonomia vigilare sul mercato a garanzia dei cittadini, ma il suo presidente Spaventa (già ministro, parlamentare e banchiere in quota "rossa") prima di dare l'ok alla seconda offerta di Colaninno è andato in udienza da D'Alema a Palazzo Chigi (è la necessaria autonomia?).
6. Quali insegnamenti deve trarre la nostra economia da questa nuova realtà economica europea?
La vicenda dovrà essere seguita, ma certo costituisce un punto di svolta nella nostra storia economica, ci introduce in un nuovo mondo, dopo nulla sarà più come prima. Inutile recriminare, la sfida va affrontata. Il guaio è che, senza indulgere al dirigismo, non c'è una idea di politica industriale nel paese. Su che settore puntiamo? Il turismo? I servizi? La tecnologia? Il cinema e la tv? La ricerca scientifica? I beni culturali? Il servilismo alla Fiat un giorno e l'odio per gli Agnelli quello dopo? Non c'è una idea, non un "gosplan" brezneviano, per carità. Altri paesi l'idea ce l'hanno e quando un italiano va in Belgio a comprare la Sgb o in Germania a comprare pneumatici, chiudono la porta senza complimenti. Non dobbiamo e non possiamo essere protezionisti, ma nemmeno sciocchi. Non violo un segreto se dico che mi ha fatto molto pensare una considerazione che più volte ho ascoltato dal governatore della Banca d'Italia Fazio: «non è l'Italia che è entrata in Europa, è l'Europa che è entrata in Italia», comprandosi banche, telefonini e quant'altro. Ci manca una capacità di competere alla pari. Niente autarchia, ma capacità di far crescere il sistema per reggere la sfida. Ma purtroppo in Italia si ascolta più il Fazio finto, quello che organizza feste dell'Unità mascherate da saga della canzonetta, che il Fazio vero, quello che guarda avanti ma non rinuncia alla prudenza al timone di Bankitalia. Che Anna Oxa ci perdoni e ci salvi!