EXCALIBUR 4 - giugno 1998
in questo numero

La "loro" Europa

Poche speranze per gli Europei nell'Europa dell'Ulivo

di Ezio Sanna
Ho letto, alcuni anni orsono, che in Olanda avevano proposto di proclamare lingua ufficiale l'Inglese, e la notizia non era un pesce d'aprile, anche perché, per qualche settimana, sulla stampa continuarono ad apparire interventi sull'argomento.
Ma perché, si chiederà il lettore di queste righe, riesumare oggi questa vecchia notizia?
Perché oggi parliamo d'Europa. Oggi parliamo d'Europa perché ci siamo costretti. Ci siamo costretti perché l'ingresso in Europa è praticamente l'unico nastrino che l'attuale governo italiano sia riuscito ad appuntarsi sulla giacchetta (e non lo dico io, lo dicono loro...), e quindi non fanno che parlarne.
E allora parliamone anche noi, ma riflettendoci, perché, al di là degli eventuali nastrini o medagliette altrui, l'Europa è qualcosa di troppo importante perché la si possa lasciare a Prodi & C..
E non la si deve lasciare a quei signori, almeno per chi all'Europa crede, per una buona ragione: da quando questo Governo ci ha fatto due palle così su Maastricht, un sacco di Italiani (che, stando alle statistiche, erano il popolo più "filoeuropeista" del pianeta) stanno incominciando a chiedersi dove stia la fregatura. Perché tanto di fregature, questa Europa fatta da loro, ce ne darà parecchie.
Ma non mi interessa parlare oggi tanto degli aspetti economici, finanziari e/o monetari, che pure sono importanti e che in qualche prossima occasione bisognerà approfondire, quanto degli aspetti culturali, metapolitici che l'imminente integrazione europea ci porterà ad affrontare.
A Metternich viene correntemente attribuita la sprezzante definizione dell'Italia quale «mera espressione geografica», a significare che, se esisteva ed esiste una "Italia geografica", non esisteva un "popolo italiano"; tesi, bisogna onestamente riconoscere, da sempre ampiamente condivisa proprio in casa nostra, se pensiamo che, subito dopo ]'Unificazione nazionale, mi sembra il Cavour (posso sbagliare) avrebbe affermato che, «ora che abbiamo fatto l'Italia, dobbiamo fare gli Italiani...», e che persino il buon Mameli (quello dell'inno della Nazionale di calcio) ci ricorda che «non siam popolo, perché siam divisi...».
Se questi discorsi erano (e sono) validi per il nostro Paese, di quale Europa, di quali Europei stiamo parlando? Tutto sommato, in Italia si partiva da alcune basi storiche, culturali, religiose, linguistiche, che, bene o male, consentivano un minimo comun denominatore, che potevano far bene sperare, eppure i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Se tanto mi dà tanto... nutro poche speranze per gli Europei.
Ci sono comunque delle altre considerazioni da fare. Il processo storico che portò in Europa alla dissoluzione degli Imperi e alla costituzione degli Stati nazionali, e che per certi versi è ancora in corso (si pensi agli Stati dell'Europa centro-orientale, dalla Croazia alla Moldavia, dalla Slovacchia ai Paesi Baltici), non è stato originato dalla legittima volontà di salvaguardare le proprie caratteristiche culturali, linguistiche, nazionali perché ce ne fosse bisogno, ma dall'impossibilità di trovare motivi comuni di convivenza con i propri vicini.
Tanto è vero che la prima attività di tutti coloro che lamentavano in precedenza la propria subordinazione a culture estranee, diventava, appena possibile, la subordinazione, quando non l'eliminazione, delle proprie minoranze interne.
Cerco di spiegarmi meglio. Fino a quando una qualche forma di legittimità è stata condivisa e riconosciuta, le differenze nazionali non avevano eccessiva importanza (i Gallesi odieranno pure gli Inglesi, ma generalmente si consideravano fedeli sudditi britannici).
Persino in Svizzera, dove i gruppi etnici e linguistici sono, come tutti sappiamo, diversi, un Ticinese (che magari è considerato uno "spaghetti" dagli altri cittadini della Confederazione), non si considera certo Italiano, così come la stragrande maggioranza dei Corsi etnici si considera certamente francese e non "pinzuto".
E torniamo agli Olandesi. Se fosse passata la proposta di adottare l'Inglese quale lingua ufficiale, i simpatici tifosi dell'Ajax avrebbero incominciato a tifare in massa per il Liverpool? È chiaro che no.
Ciò che voglio dire è che in un Continente nel quale i popoli, le lingue, le religioni, le culture si sono combattute, confrontate, mischiate irrevocabilmente, il semplice richiamo di concetti quali l'appartenenza etnica, religiosa, linguistica non significano più nulla.
Ma la prospettiva non è, non può essere, quella di un nuovo "melting pot", sogno americano di sempre, che ha mostrato inequivocabilmente tutti i propri limiti: al contrario, l'Europa, gli Europei possono nascere se, conservando orgogliosamente ognuno la propria storia, le proprie tradizioni, i propri costumi, sapranno farne le fondamenta (e non i limiti) del proprio futuro.
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