Sopra: il palazzo dell'Onu a New
York
Sotto: una partitura di Johann
Sebastian Bach
Un lungo applauso ha salutato l'approvazione - per acclamazione - del documento finale della Conferenza dell'Onu sul razzismo, tenutasi a Ginevra lo scorso aprile. Un applauso liberatorio, non tanto sul contenuto del documento, ma sul fatto che si fosse comunque arrivati a un accordo.
E così il comitato, presieduto da Iran, Albania e Belgio, può andar fiero del proprio lavoro: è stato varato un documento - a lavori non ancora conclusi - che riconferma le conclusioni dell'analoga Conferenza tenuta a Durban nel 2001 (questo incontro è stato comunemente chiamato Durban II, quasi a fugare ogni possibile sospetto sulla sua prevedibile conclusione).
Risultato di questo
meeting planetario? Il solito: oltre al consueto
bla-bla sulla lotta al razzismo e all'intolleranza, si ribadiscono i concetti espressi da Durban I: i soli Palestinesi sono nominati come vittime del razzismo, che naturalmente deriva dal sionismo.
Dopo il farneticante discorso di Mahmoud Ahmadinejad - non a caso l'unico capo di stato presente - è stato un bel vedere i rappresentanti paludati dell'Unione Europea che abbandonavano l'aula sussiegosi e compunti sfilando davanti all'oratore. Ma, dopo venti minuti - il tempo di un caffé? - sono tutti rientrati in aula, tranne il rappresentante della Repubblica Ceca che se ne è andato, unendosi ai paesi che non si sono neanche presentati in segno di protesta per l'impostazione data ai lavori: Israele, Stati Uniti, Italia, Canada, Australia, Nuova Zelanda. Gli assenti hanno probabilmente avuto torto: si sono persi i discorsi illuminati che in tema di razzismo hanno tenuto i rappresentanti dei paesi chiamati a parlare: Siria, Qatar, Palestinesi, Pakistan, Sudan, Yemen.
Dopo otto anni dalla vergognosa manifestazione di Durban, il consueto "cerimoniale" si è svolto in tono più morbido, non foss'altro perché mancava il principale imputato, Israele, e il suo più fidato "servo", gli Stati Uniti.
Ed ecco allora l'ineffabile Bernard Kouchner, ministro degli esteri francese, che parla di "vittoria" e di speranza per una crescita dei diritti umani, di lotta al genocidio, di difesa delle donne. Secondo Kouchner le dichiarazioni anti-israeliane di Ahmadinejad avevano «
carattere personale ed elettorale». Chissà se crede a ciò che dice: se così fosse sarebbe il massimo della stupidità e se così non fosse sarebbe il massimo dell'ipocrisia.
Il balletto dell'Onu e delle sue conferenze - un monumento all'inutilità di questa organizzazione - continua immutabile.
Nel documento del 2001, varato a Durban, nella parte dedicata al razzismo punibile, non comparivano i termini "Olocausto" e "antisemitismo", ma i Palestinesi erano chiamati "vittime del razzismo israeliano" (indifferenti al fatto che Israeliani e Palestinesi siano entrambi semiti!).
Naturalmente dell'antisemitismo islamico non vi è traccia alcuna nei rapporti sul razzismo pubblicati dall'Onu (non c'è alcun antisemitismo neppure in Europa, poiché la pubblicazione del rapporto su crescente antisemitismo europeo fu bloccata dal nostro Romano Prodi allora Presidente della Commissione Europea).
Eppure l'Onu dovrebbe essere grata a Israele, perché sicuramente contribuisce a giustificare l'esistenza delle sue commissioni.
Ma ci sono circostanze che sarebbero ridicole se non fossero drammatiche: Israele non può far parte del Consiglio per i Diritti Umani di Ginevra (prima chiamato "Commissione per i Diritti Umani"), anche se è l'unico paese del Vicino Oriente che li rispetti.
Ebbene, metà dei lavori di detto Consiglio sono dedicati a Israele.
Ma anche l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite deve ringraziare Israele: nonostante la popolazione del piccolo stato sia pari allo 0,1% della popolazione mondiale, il 40% dei lavori dell'Assemblea è dedicato a Israele. Le risoluzioni nei suoi confronti sono centinaia e il loro numero negli anni è cresciuto con l'aumentare dell'attenzione del mondo per i problemi dell'area mediorientale.
Nel 1975 gli ambasciatori presenti all'Assemblea delle Nazioni Unite applaudirono le richieste del dittatore dell'Uganda Idi Amin Dada che chiedeva l'espulsione di Israele dall'Onu e lo "sterminio" del popolo ebraico. Era il 10 novembre, lo stesso giorno in cui l'Assemblea Generale, attraverso una sua commissione, con 72 voti a favore, 35 contrari e 32 astenuti, approvò la risoluzione n. 3379, in cui si sosteneva che «
il sionismo è una forma di razzismo».
È comunque curioso - ma attenti alle gratuite illazioni - che la Carta dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, adottata nel 1964 ed emendata nel 1968 e da allora mai formalmente modificata, reciti testualmente all'articolo 22: «
Il sionismo [...] è un movimento razzista, naturalmente fanatico, aggressivo, espansionista e colonialista nei fini, e fascista e nazista nei metodi».
Ci vorranno sedici anni, fino al 16 dicembre 1991, prima che l'Assemblea Generale dell'Onu revochi quella risoluzione.
E dopo Idi Amin Dada, un altro presidente di uno stato che fa parte dell'Onu, parla di "distruzione dell'entità ebraica" e viene subissato di applausi e accolto dal capo dello stato svizzero con tutti gli onori. E tutto ciò nonostante Ahmadinejad sostenga la negazione totale, reiterata e assoluta della legalità internazionale garantita dalle potenze che hanno sconfitto il nazifascismo.
Dell'Onu fanno parte 192 paesi: anche Israele fa parte dell'Onu, ma Israele è un paese diverso. Pur essendo nato a seguito di una sua risoluzione, da allora, in un crescendo immorale, è sempre al centro delle sue risoluzioni di condanna. Non si condannano i lanci dei razzi dalla Striscia di Gaza, ma si condanna la risposta israeliana che comincia dopo che oltre 6 mila lanci hanno colpito il suo territorio.
L'ipocrisia di una organizzazione che dovrebbe operare per mantenere la pace internazionale e la sicurezza e rimuovere le minacce alla pace che provengono da tutte le parti del mondo, continua.
Chi segue queste vicende da anni - ne sono passati tanti - si rende conto che nulla è cambiato. Cresce l'indifferenza, il cinismo, il conformismo e l'odio. I problemi di quell'area non sono affrontati con la prospettiva di trovare una soluzione a un dramma che da regionale ha acquistato importanza mondiale: Israele è diventato la radice di ogni male, tanto da far dire a qualcuno che la sua scomparsa porterebbe alla pace nel mondo intero.
Gidon Kremer è un violinista lettone, considerato tra i più bravi nel mondo. In un'intervista, ripercorrendo i suoi anni in Unione Sovietica dove per lungo tempo non potè ritornare, disse: «
Quando si pensa a quante cose brutte ci sono nel mondo [...]. Il mondo è sull'orlo di una catastrofe [...], tutti si combattono: gli uni non capiscono gli altri e non vogliono neanche capirli. Si cerca solamente di provare chi è il più forte e di dimostrare agli altri che la propria fede è la più giusta. Perciò può sembrare che suonare Bach sia una fuga, ma non è una fuga. Forse è un modo [...], è un tentativo di scoprire quei valori che sono eterni e valgono per tutti».
La domanda è: esistono davvero dei valori che siano comuni a tutti gli uomini del mondo, capaci di unirli e non di separarli? E se esistono, quali sono?
Gidon Kremer concluse l'intervista dicendo: «
Sognare è una necessità».