Articolo di Salvatore Piras sul n. 21 di "Avanguardia" del
5 agosto 1944
Piras dopo l'8 settembre non ebbe dubbi, cos&ìgrave; come non li aveva avuti dopo il 25 luglio: lui stava con i Tedeschi e con Mussolini. Lo racconta nell'articolo "I seminatori" nel n. 13 di "Avanguardia" del 31 marzo 1945: «
E che era già il 14 settembre e proprio al mattino avevamo detto già sul molo del porto ai camerati chiamati: "Camerati di tutte le ore, del sangue e della gloria, dell'amarezza e del dolore, siamo ancora e sempre con voi che ci avete ridato nostro il cuore del Duce e ci avete offerto l'onore di portare ancora e sempre al fianco le nostre armi"».
Nel n. 15 di "Avanguardia" del 24 giugno 1944, nell'articolo "La promozione", racconta: «
Per una via di patimenti e di sacrifici [...] giungemmo nel tardo e funesto autunno in un campo che fu di sosta e banco di prova [...], ci aveva portato là una interminabile corsa attraverso i Balcani [...]. Noi eravamo fanti e marinai, dagli scogli dell'Egeo decisi con il bagaglio della fede che da quattro anni ci animava [...], con la nostra gente di terra e di mare che ci seguiva per convinzione, ora che ogni legame di disciplina soldatesca [...] pareva spezzarsi [...]. Ai camerati tedeschi che ci avevano dato la Patria e il Duce dovevamo pure dare qualcosa. E allora: s&ìgrave;, s&ìgrave;, s&ìgrave;, adesione senza condizioni alla causa di ieri [...].
All'uscita dalla stanzetta dove fu raccolta la nostra libera manifestazione di volontà individuale, andammo nel cortile piccolo e grigio [...], tra gli sguardi dubbiosi e sprezzanti di tante centinaia di camerati che non avevano il coraggio di esserlo ancora: "Ma ci lasciano il grado? Ma su quale fronte ci mandano? E con quale stipendio?". A me non importa.
Si tratta di riacquistare dignità di uomini e di ridare onore all'Italia [...], si tratta del domani in cui potrò dire a mia madre e ai miei figli: "Sono soldato d'onore". Breve la sosta. Poi si esce dai reticolati del disprezzo, dal raggio di luce di riflettori abbaglianti, dal peso opprimente di cattivi italiani che non ci amano, fra cui un cosiddetto ministro di Dio che si rifiuta di pregare per noi: che importa? Il Dio dell'Italia ci aiuterà!».
Poi il rientro in Italia, il suo impegno nell'ufficio stampa della divisione e la cura dell'edizione di "Avanguardia" e questo sino al 25 aprile del 1945. In tutta questa frenetica attività trova anche il tempo di parlare della sua terra: la Sardegna.
L'occasione gli viene data da un episodio triste e al tempo glorioso. Il 23 aprile del 1944 cade in combattimento sui cieli di Parma il tenente pilota Vittorio Satta, cugino di Piras e nipote del grande scrittore e giurista Salvatore Satta (vedere il mio volume "I Sardi a Salo", pag. 42).
Piras ne parla nel n. 31 di "Avanguardia" del 14 ottobre del 1944, pur senza citarlo per nome: «
Fu il più bel virgulto della mia gente. Un figlio dell'Isola più bella e forte che Dio abbia ancorato nel mezzo del mare [...]. Ancora prima che l'amore per l'Italia, vedeva e sentiva l'adorazione per l'Isola che cercava di rivedere a ogni occasione e il cui pensiero e la cui nostalgia lo pungevano nella sua natura silenziosa e sensibile, quella che ci viene dagli avi guerrieri e solitari nei monti. Tutta una adolescenza dedicata a trovare la sua via. Da qualche anno l'aveva trovata e affrontata con l'entusiasmo di chi parla poco e molto agisce. Perché sulla terra c'è troppo brusio di parole vane e rumore di inutili vanità, si lanciò verso il cielo [...], con la forza della sua decisione.
Al tradimento degli altri, di troppi altri, aveva risposto con la piena dedizione alla Patria.
Chi aveva abbattuto una mezza dozzina di quadrimotori su Pantelleria non poteva andare in pensione come tanti altri "mantenuti" della Repubblica.
Il cacciatore aveva nel sangue di guerriero dei monti della Sardegna l'orgoglio di un messo della gloria. Avanti alla buona caccia! Ma ora erano pochi gli audaci e bisognava andare lo stesso incontro al nemico di ieri e di domani. Via! Un cacciatore contro dieci "sputafuoco" compatti. Il volo audace lo scagliava a picco nelle loro file che scompaginava. Mentre era in piena battaglia lo colpiva in viso un proiettile di mitragliatrice [...].
Mentre da solo se ne andava contro gli artigli delle dieci macchine nemiche [...], avrà pensato all'Isola lontana della sua gente pastorale e guerriera [...]. Al padre che lo attendeva aveva scritto giorni prima che erano in pochi al volo e non poteva venire a casa neppure per un poco.
L'amore ardente per la Patria [...] non gli dava tempo di pensare ad altro che al volo di guerra».