Sopra: manifesto di propaganda delle SS italiane curato dal
disegnatore Gino Boccasile
Sotto: distintivo delle SS italiane
Fortuna ha voluto che l'amico Pier Giorgio Angioni, valente bibliofilo, ci abbia procurato l'intera raccolta del giornale delle SS italiane "Avanguardia Europea", poi solo "Avanguardia", in tutto 42 numeri editi a partire dal 18 marzo 1944 sino al 21 aprile 1945.
Del giornale Piras non solo fu prima redattore e poi direttore responsabile, ma scrisse almeno una quindicina di articoli firmati e da questi abbiamo potuto ricostruire le vicende belliche che lo hanno coinvolto.
Piras part&ìgrave; come ufficiale volontario per il fronte greco-albanese. Non subito, ma verso febbraio-marzo del 1941 giusto per bloccare l'avanzata delle truppe greche in Albania.
Lo racconta lui in un articolo dal titolo "I soldati parlano col canto" pubblicato nel n. 42 del 30 dicembre del 1944 di "Avanguardia": «
Cantavamo alla nostra gioia di essere veri volontari in partenza per la guerra [...]. Si arrampicava su quella scala ansimante e rabbiosa la "carretta" che portava quattro ufficiali, quattro volontari di guerra [...]. A una sosta in vetta al Lagora vedemmo la costa che dovevamo difendere [...], a 1500 metri dove il vino non arrivava mai (perché?), dove non arrivavano il cognac e i limoni (perché?), dove non arrivava che pane color verderame e una volta solo si ebbe una mortadella semovente (perché?), dove si cucivano i pantaloni con gli spaghi [...], dove le scarpe affamate sbadigliavano terribilmente e restavano aperte, spalancate come la bocca della verità che aspettasse una denunzia per eternare l'accusa ai sabotatori della prima linea (perché?)».
Nell'articolo Piras parla anche del viaggio che fece in treno verso la Germania, non si capisce bene se come prigioniero o come neoalleato, presumibilmente alla fine del mese di settembre del 1943: «
Una tradotta eterna che non usciva mai tutta dalle gallerie e che si perdeva nella corsa lenta lungo le valli dei fiumi di Balcania [...], uno squallore tetro negli animi intorno a noi, aiutato dallo sguardo di cocente scherno dei pastori albanesi mascherati con le uniformi rapinate a man salva dai magazzini aperti dal tradimento».
Piras palesa a ogni piè sospinto una sconfinata ammirazione per il popolo greco. Ecco cosa scrive nel n. 23 di "Avanguardia" del 18 agosto del 1944: «
Una presunzione infondata può avere fatto dire a qualcuno, a taluno o a molti che tra la gente di Grecia mancava capacità di provare sentimenti nobili e che ci si meravigliava come gente simile avesse resistito valorosamente sulle montagne d'Albania.
Fra quella gente abbiamo invece trovato uomini che all'innato spirito commerciale univano dignità e riconoscenza, uomini che avevano coltivato e coltivavano nobili sentimenti, uomini che seguivano sistemi e ubbie democratiche apparse a noi, uomini nuovi, anacronistiche e superate: e ce ne siamo accorti bene dopo, nell'ora della mortificazione e del tormento.
Questa gente al grido di guerra ha lasciato i suoi caffè e le sue chiacchiere e ha difeso la Patria finché un soldato ha potuto tenere in pugno il suo fucile».
E l'elogio ai Greci fa da contrappeso alla follia, l'inettitudine, la meschinità con la quale venne condotta quella guerra.
Scrive infatti Piras in un articolo "La stella di Orione", pubblicato nel n. 21 di "Avanguardia" del 5 agosto del 1944: «
Guerra fatta dagli alpini veri o di adozione, con i vecchi fucili 91, con le piccole bombe rosse oggi tanto disprezzate, con i mortai d'assalto, con le baionette antiche, con le unghie, con i denti, con le sofferenze del poco mangiare, della poca lana, delle poche cure.
Venire una volta tanto a valle era bello [...], ma poi si risaliva sotto il carico di rancore perché a una mensa si era stati buttati fuori, essendo necessario non sfigurare con le maniche sfregiate e le camicie chiuse con spilli da balia e i capelli tosati per fregare i pidocchi.
Si risaliva col carico di rancore perché in un magazzino, diretto e sorvegliato terribilmente da un volontario di guerra (meschino essere che scaricò la sua regia rabbia il 25 luglio), si erano visti miliardi di lire dati dal popolo perché si vestissero, si alimentassero, si coprissero i migliori tra i suoi figli, mentre lassù i brandelli dei calzoni erano spesso cuciti con filo di ferro e spaghi colorati, mentre lassù le scarpe erano delle ex scarpe trattenute al piede con funicelle di telo da tenda, mentre lassù i limoni non salivano a toglierci il dolore delle gengive infiammate e i guanti non si arrampicavano per ripararci le mani screpolate dal gelo [...].
Vergogna eterna sarà stata e sarà per i pochi una campagna che rischiò di annegarci in mare e di affogarci nel fango delle paludi ingrate [...]. Ci attaccarono a metà aprile [...]. I Greci ci attaccarono dalle loro tane e le loro lunghe buche armatissime. Chi poté dire in buona fede che essi fossero finiti? Per quella resistenza dura di muro antico e potente, oltre ogni speranza perduta, crebbero nella nostra stima i nemici e lo dicemmo dopo, quando entrati nella loro terra, essi deposero le armi (sulle montagne andarono dopo, spinti dal malgoverno degli occupanti o dal soldo del nemico)».