EXCALIBUR 151 - marzo 2023
in questo numero

Storie di guerra anche su Facebook

La battaglia navale di Capo Passero nel 1940

di Ernesto Curreli
l''Artigliere' in fiamme
Sopra: l'"Artigliere" in fiamme
Sotto: torpediniere Classe Spica, Messina 1942
torpediniere Classe Spica, Messina 1942
Tore (Salvatore) Loi su Facebook, il 16 febbraio 2023 pubblica un post dedicato al cacciatorpediniere "Artigliere" colpito dal tiro nemico durante lo scontro di Capo Passero del 12 ottobre 1940. Nella prima fase dello scontro era stato colpito l'"Artigliere", che fu subito soccorso dal gemello "Camicia Nera", che lo prese a rimorchio dopo averne messo in salvo i superstiti.
Loi racconta: «Io ebbi la fortuna di interloquire spesso con uno degli ufficiali, allora giovane ufficiale guardiamarina, imbarcato sull'Artigliere, era uno dei miei professori al Nautico di Cagliari. Qualche volta si commuoveva. Lui non si capacitava come il Camicia Nera avesse fatto, con a bordo i naufraghi dell'Artigliere, a scampare ai feroci attacchi dei due incrociatori e dei caccia nemici, procedendo a tutta forza, zigzagando e sparando con il complesso di poppa. Successivamente furono attaccati più volte da aerosiluranti. Egli raccontò che le mitragliere erano roventi, ma con manovre precise il caccia schivò i siluri nemici».
Fin qui il ricordo di Loi.
La battaglia ebbe origine con la scoperta italiana di un convoglio navale britannico da parte di un aereo di linea civile la mattina dell'11 ottobre 1940, quando ormai il convoglio era a circa 70 miglia da Malta. Supermarina ordinò l'uscita da Augusta della XI Squadriglia di cacciatorpediniere con le navi "Artigliere", "Aviere", "Geniere" e "Camicia Nera" assistite dalle torpediniere della I Squadriglia "Airone", "Alcione" e "Ariel".
La VII Squadriglia cacciatorpediniere, con i caccia "Freccia", "Dardo", "Saetta" e "Strale", fu inviata, insieme alla II Flottiglia Mas, in agguato presso l'isola maltese di Gozo e in prossimità dell'insenatura di La Valletta a Malta. La Marina all'epoca era ancora impregnata di "spirito difensivo" e in mare avrebbe pagato perdite pesanti. Il 5 giugno 1940 Supermarina, in prossimità della dichiarazione di guerra italiana, tra le altre disposizioni di una guerra che non si voleva fosse davvero combattuta, aveva ordinato al Comando della Piazza Marittima di La Maddalena: «non prendere l'iniziativa di azioni di fuoco contro la vicina costa della Corsica, qualora fossero dichiarate le ostilità».
Del resto, il Comando Supremo delle Forze Armate due giorni dopo, il 7 giugno, ordinava a firma di Badoglio: «Tenere assoluto contegno difensivo verso la Francia in terra e in aria. In mare, se si incontrano forze francesi miste a forze inglesi, attaccare. Se solo Francesi prendere norma del loro comportamento e non essere i primi ad attaccare. Per i sottomarini, se riesce loro a fare un buon colpo anonimo contro forze francesi lo facciano pure».
Queste erano le prime istruzioni date alle Forze Armate per il "comportamento bellico". Intanto la flotta francese non aveva questi vincoli e appena quattro giorni dopo la dichiarazione di guerra italiana aveva bombardato pesantemente la costa ligure e Genova.
A Capo Passero, una volta avvistato il convoglio, non venne ordinata un'efficace ricognizione aerea, lasciando che le squadriglie di caccia e torpediniere andassero allo scontro contro forze di gran lunga superiori. In mare erano infatti in rotta di ritorno verso Alessandria d'Egitto gli incrociatori pesanti "Ajax", "Orion", "Sydney" e "York" scortati dai caccia "Nubian" e "Mohawk".
Durante il rastrellamento notturno italiano, fu l'Alcione a trasmettere il segnale di scoperta, senza sapere che si trovava di fronte a ben quattro incrociatori. Lanciò subito due siluri contro l'Ajax che andarono a vuoto. Anche le torpediniere lanciarono sette siluri, tutti andati a vuoto. Ma lo spirito combattivo degli equipaggi italiani era diverso da quello dei comandanti superiori di Roma.
L'Airone si avvicinò all'incrociatore nemico sparando a circa 700 metri di distanza quattro salve veloci, che colpirono l'Ajax due volte sul ponte e una volta sulla fiancata, appena sei metri sopra la linea di galleggiamento. L'incrociatore inglese ebbe un incendio a bordo e una batteria da 102 mm distrutta, con oltre 12 morti e 22 feriti. Ma non affondò, mentre fu costretto a ridurre la velocità a 25 nodi, rischiando di essere più pesantemente colpito se fossero stati in mare incrociatori italiani. Forse gli Inglesi sapevano che in mare non c'erano incrociatori nemici.
Cos&ìgrave;, sebbene danneggiato, l'Ajax assunse manovre di cambi di rotta e apr&ìgrave; il fuoco con tutte le batterie in efficienza. Il micidiale tiro inglese colp&ìgrave; prima l'Ariel, che affondò nel giro di pochi minuti, poi fu il turno dell'Airone, colpito ripetutamente e destinato ad affondare poche ore dopo. L'Alcione, invece, dopo aver sparato ben 15 salve a ripetizione, riusc&ìgrave; a rompere il contatto mettendosi in posizione di sicurezza fuori dal tiro nemico, in attesa di poter prestare soccorso ai naufraghi delle due torpediniere. Finalmente i cacciatorpediniere italiani poterono aggiustare il tiro, ma l'Ajax apr&ìgrave; ancora il fuoco colpendo l'Aviere a poppa e a prua, danneggiando gravemente il servizio elettrico e distruggendo i suoi sistemi di puntamento. A quel punto il comandante ordinò il ripiegamento, mentre entrava in azione l'Artigliere, che apr&ìgrave; il fuoco ravvicinato lanciando anche un siluro che non colp&ìgrave; l'incrociatore nemico.
Malgrado gli sforzi dell'equipaggio, l'Artigliere non riusc&ìgrave; a sottrarsi al fuoco avversario, subendo rapidamente colpi in coperta, sulla caldaia centrale e in sala macchine. A sua volta il caccia italiano mandò quattro salve sulla nave nemica distruggendo il radar, la bussola e un cannone. Ma l'Ajax rimase ancora a galla, malgrado i gravi danni. Sopraggiunse anche il Camicia Nera, che scambiò due salve contro l'incrociatore, senza colpirlo.
Intanto l'Alcione, che aveva recuperato i superstiti dell'Ariel e dell'Airone, riusc&ìgrave; ad allontanarsi dalla linea di fuoco insieme all'Aviere e al Geniere, tutti rientrati ad Augusta la mattina del 12 ottobre. A sua volta l'Artigliere, che sembrava in grado di tenersi a galla, riusc&ìgrave; a mettersi in movimento con l'unica caldaia rimasta intatta, ma alle 4 del mattino dovette fermarsi perché i serventi di bordo non riuscivano più ad alimentarla.
Fu a quel punto che giunse in soccorso il Camicia Nera, che prese a bordo gran parte dell'equipaggio agganciando a rimorchio il caccia. Ma dopo qualche ora dovette mollare i cavi perché stava sopraggiungendo in forze la squadra britannica. La sorte dell'Artigliere era cos&ìgrave; definitivamente segnata: le navi nemiche colpirono ancora una volta il caccia, mentre un siluro lanciato dall'incrociatore pesante York lo colp&ìgrave; a poppa, facendo esplodere il suo deposito munizioni, il che provocò una impressionante vampata di fuoco.
Affondò intorno alle 9 a 50 miglia da Capo Passero. A bordo c'erano il comandante Capitano di Fregata Carlo Margottini e il suo secondo Tenente di Vascello Corrado Del Greco, con i pochi uomini rimasti a bordo per i servizi indispensabili, tutti scomparsi con la nave. Durante lo scontro persero la vita oltre trecento giovani marinai italiani delle tre navi affondate.
Il Camicia Nera ebbe più fortuna. Sottoposto al fuoco di due incrociatori e tre cacciatorpediniere della Royal Navy, riusc&ìgrave; con abili manovre a sfuggire al fuoco nemico e agli attacchi di una decina di aerosiluranti. Il sangue freddo del suo comandante, che prima reag&ìgrave; col tiro delle artiglierie poppiere e poi adottò una tattica estrema di cambi continui di rotta e di cortine fumogene che occultavano la nave al nemico, riusc&ìgrave; a portarsi in salvo rientrando ad Augusta intorno alle 12.
E qui torniamo al racconto che il Guardiamarina del Nautico di Cagliari fece al nostro amico virtuale di Facebook Tore Loi.
tutti i numeri di EXCALIBUR
VICO SAN LUCIFERO