Sopra: guerra, volano per la crescita economica
Sotto: le spese militari, visione economica particolare
A uno sguardo frettoloso sembra che buona parte del Mondo, quella occidentale e asiatica, si stia avviando verso una catastrofe monetaria inflazionistica. Invece si vedono già i primi segnali di ripresa. Di certo non sarà un'impresa facile davanti all'enorme debito pubblico di molti paesi rispetto al loro Pil.
Il Giappone "vanta" il record peggiore, superando i 7.300 miliardi di euro. Il divario rispetto al suo Pil è del 262% nel 2022 e deriva dai forti investimenti governativi tesi a far ripartire l'economia riducendo le tasse e favorendo l'aumento dell'export nipponico, gravemente compromesso dalla inarrestabile concorrenza della Cina soprattutto nei prodotti elettronici, che anni prima rappresentavano quasi un monopolio del Giappone. Ma in questo campo sta recuperando e produce beni all'avanguardia che non soffrono il confronto con quelli cinesi. Malgrado il rischio inflattivo, il Giappone rimane la terza potenza economica mondiale e ha un tasso di disoccupazione del 4%. Si può permettere quel debito spaventoso perché, in realtà, ha conservato la sovranità monetaria e i titoli di stato sono immediatamente acquistati dalla Banca Centrale. Perciò è come se il paese avesse un debito con sé stesso. Il suo vero problema, semmai, è la curva demografica, che vede salire il distacco tra popolazione invecchiata, pari a un terzo della popolazione, e le nuove generazioni.
I paesi della Ue sono messi meglio, almeno nel rapporto debito/Pil, ma hanno una economia molto più debole. La Grecia ha un debito del 207%, il Portogallo del 123%, la Spagna del 116%, la Francia del 114% e l'Italia, la peggiore tra tutte, del 150% nel 2021. La Germania, sempre memore della grave inflazione che aveva colpito il paese nel primo dopoguerra e sempre attenta a non far crescere il debito, nel 2023 viaggia con un debito del 72% rispetto al suo Pil.
Molti economisti famosi sostengono da tempo che viaggiamo su un mare di banconote prive di valore. Sostengono che tutte le banche erogano prestiti col denaro che non hanno, perché quando prestano denaro (il loro passivo) subito registrano nell'attivo una cifra corrispondente, perché devono incassare la contropartita. Tuttavia, quel denaro non sempre ritorna nelle loro casse, soprattutto in periodi di crisi come quello che stiamo vivendo in questi anni.
Che cosa ci potrà salvare dalla catastrofe?
La guerra, purtroppo. È sempre stato cos&ìgrave; nel XX secolo e in quello che adesso stiamo vivendo.
La Morgan Stanley lo aveva già registrato in un report del 2001: «
Che cosa può ridurre drasticamente il deficit delle partite correnti americane [...], la risposta è: un atto di guerra»
Dietro questa affermazione c'è una triste e lunga storia di verità. Durante la II Guerra Mondiale gli Usa erano in difficoltà e fu la guerra a salvarli, non il progresso dell'economia, che peraltro aveva dato risultati grazie ai piani che Roosevelt aveva adottato copiando i programmi industriali dell'Italia degli Anni Trenta.
Marcello De Cecco, se non mi sbaglio funzionario del Ministero della Difesa, affermò che «
se si trattasse di una grande mobilitazione bellica, tutti i settori industriali sarebbero coinvolti e la General Motors produrrebbe navi, come ha fatto nella Seconda Guerra Mondiale, o grandi missili, come durante la Guerra Fredda».
Nella storia economica degli Usa la guerra ha sempre rappresentato un fattore di grande espansione economica e industriale. Lo dicono gli stessi Americani: il "National Bureau of Economic Research" ha predisposto una lunga serie di dati per dimostrare al governo che le espansioni economiche post-belliche (e durante le guerre) fanno parte del ciclo economico e questo è indiscutibilmente accertato e assolutamente ricorrente.
Il Premio Nobel per l'economia Peter North spiega come gli Usa riuscirono a risollevarsi dalla grande crisi degli Anni Trenta e non ha dubbi: «
Non siamo usciti dalla depressione grazie alla teoria economica, ne siamo venuti fuori grazie alla Seconda Guerra Mondiale».
Cos&ìgrave; fu per la guerra in Corea: gli Americani nel 1952-1953 triplicarono le spese militari arrivando a spendere addirittura il 15% rispetto al Pil, mentre per la guerra del Vietnam le spese militari aumentarono dell'82%, arrivando a superare il 10% del Pil. Con la Guerra del Golfo nel 1991 ci fu un grandioso dispiegamento di mezzi militari, prima con i bombardamenti indiscriminati anche su obiettivi civili, poi con l'intervento a terra degli Americani. Non si sono nemmeno astenuti dall'asportazione fisica "gratuita" del petrolio irakeno.
Per saperne di più cercate di parlare con qualche reduce della Brigata Sassari che era di stanza in Iraq in quel periodo. Ai posti di blocco italiani, gli Americani, con le loro lunghissime colonne di autobotti dirette verso il mare, nemmeno si fermavano e, se qualcuno ci provava, gli puntavano le armi addosso.
Samuel Huntington ha affermato che «
La posta in gioco era stabilire se il grosso delle maggiori riserve petrolifere del mondo sarebbe stato controllato dai governi sauditi e degli Emirati, la cui sicurezza era affidata alla potenza militare occidentale [...]. Prima della guerra, Iran, Iraq, il Consiglio per la Cooperazione nel Golfo e gli Stati Uniti competevano per l'acquisizione di influenza nel Golfo (potere di disporne, n.d.r.)
. Al termine del conflitto, il Golfo Persico era diventato un lago americano».
Ai primi segnali di rallentamento economico del 1991, gli Usa ricorsero allo stesso programma. Aumentarono la spesa militare del 90% rispetto alle spese della Guerra Fredda degli Anni Ottanta, con una spesa maggiore rispetto a quello che spendevano tutti insieme i suoi alleati della Nato sommati a quella dell'Urss e della Cina.
Durante il periodo della guerra fredda, il repubblicano Ronald Reagan, che dal 1980 in poi fu l'unico che non mise mano al portafoglio della guerra, riusc&ìgrave; a far aumentare il Pil a livelli incredibili senza che avesse dichiarato la guerra all'Urss. Fu un inganno nel quale caddero i Russi, i quali fecero i loro conti e compresero che non avrebbero mai raggiunto gli Usa in quella pazza corsa. Si era letteralmente inventato lo "Scudo Stellare", facendo loro credere che gli Usa si erano dotati di una cintura spaziale protettiva. Ma nel contempo, accettando i suggerimenti dell'economista Premio Nobel Milton Friedman, diede l'avvio a una grande spesa pubblica, finalizzata allo sviluppo della produzione industriale, ovviamente compresa quella bellica. Nello stesso tempo accettò i suggerimenti di un altro economista, Arthur Laffer, inventore della famosa "Curva di Laffer", secondo la quale a una diminuzione della pressione fiscale corrisponde sempre un aumento dell'economia in generale. Formule entrambe azzeccate, che consentirono agli Americani di vivere un invidiabile periodo di benessere, con la disoccupazione quasi del tutto scomparsa e con l'economia che correva a vele spiegate negli anni dal 1982 al 1990.
Senza che lo abbia mai dichiarato formalmente, il governo italiano sembra che stia seguendo la stessa strada. In questa nuova politica industriale i ministeri economici e fiscali si sono certamente resi conto che gli Italiani sono affogati non solo dalla pestilenziale burocrazia statale, ma soprattutto dalla forte e ormai insostenibile tassazione che li colpisce. Quindi tenta di ridurre la pressione fiscale per favorire la ripresa dei consumi generali, nel contempo rafforzando l'economia.
Le spese militari e la posizione sull'Ucraina che l'Italia sta sostenendo forse fanno parte della stessa visione economica e sociale. Gli economisti europei prevedono che entro il 2024 la crescita della zona Ue riacquisterà progressivamente lo slancio, con una crescita globale dell'1,6% e dell'1,5% nella zona Ue-euro.