EXCALIBUR 143 - agosto 2022
in questo numero

Sardi dimenticati: Felice Cherchi Paba

La damnatio memoriæ di un grande studioso politicamente e culturalmente scorretto

di Angelo Abis
<b>Felice Cherchi Paba</b> negli anni '40
Sopra: Felice Cherchi Paba negli anni '40
Sotto: articolo de L'Unione Sarda del 3 marzo
1975 sull'opera di Felice Cherchi Paba (cliccare
sull'immagine per ingrandire)
articolo de L'Unione Sarda del 3 marzo<br>1975 sull'opera di <b>Felice Cherchi Paba</b>
Felice Cherchi: autore di circa 30 volumi, di centinaia di articoli e saggi sulla stampa, di numerosi interventi in programmi radiofonici, relatore in conferenze e convegni di altissimo livello. Basterebbero questi pochi dati per rimarcare l'importanza e la notorietà di questo intellettuale.
Ma così non è stato (e non è), perché Felice Cherchi era al di fuori, anzi contro quello che era il politicamente e lo storicamente corretto.
A ciò dobbiamo aggiungere il sovrano disprezzo a lui riservato dall'ambiente culturale, segnatamente quello accademico sardo, perché un dilettante e per giunta un perito agrario, quale il Cherchi era, osava avventurarsi in campi, quali l'archeologia, la storia, l'antropologia, la sociologia, ritenuti di esclusiva competenza del mondo accademico.
Oddio, non è che Cherchi se ne preoccupasse più di tanto e ai tanti soloni ribatteva con ironia e in lingua sarda che qui traduciamo: «Il giudizio del lettore è sempre più importante e più sincero e fondato dei tanti e tanti "asini supponenti" che dicono e scrivono lettere di nostra conoscenza, che si fanno passare per critici, intenditori e sapienti, quando non conoscono neanche la terra che li sorregge».
Felice nacque a Solarussa (OR) il 14 febbraio del 1901, figlio di Angelico Cherchi e Maria Rita Paba.
Il padre era un facoltoso proprietario che però morì quando Felice aveva solo 8 anni. Trasferitosi a Paulilatino in seguito alle seconde nozze della madre con Giovanni Urru, compì i suoi studi prima nell'Istituto dei Padri Salesiani di Santu Lussurgiu, per poi trasferirsi a Cagliari dove frequentò l'Istituto Enotecnico conseguendo il diploma di perito agrario.
Non essendo in buoni rapporti col patrigno, se ne stava volentieri nel capoluogo sardo, ritornando di tanto in tanto a Paulilatino. Lì, nel 1925, aderì entusiasticamente al fascismo, anzi possiamo dire al sardo-fascismo, visto che allora Paulilatino faceva parte della Provincia di Cagliari, di cui era federale Paolo Pili di Seneghe, ex sardista poi confluito nel fascismo. Fu certamente Paolo Pili, anche lui perito agrario, a coinvolgere Cherchi nei suoi grandi progetti di riforma del mondo agropastorale sardo. Il sostegno di Pili nei confronti di Felice Cherchi andò ben oltre il periodo fascista, tanto che nel secondo dopoguerra Pili lo aiutò anche finanziariamente quando si trovò a vivere in condizioni precarie.
A partire dal 1928 incominciò a scrivere articoli sulla rivista della cattedra ambulante dell'agricoltura di Cagliari.
Collaborò anche con la prestigiosa rivista "Mediterranea", dove affrontò due importanti problemi dell'Isola: il credito agrario e il finanziamento della proprietà terriera.
Grazie alle sue competenze lavorò per un breve periodo nella cattedra ambulante, salvo poi trasferirsi, nel 1933, a Roma, avendo ottenuto, col sostegno di Paolo Pili, un incarico presso la Federazione Fascista Latte e Derivati. Grazie alle sue capacità venne nominato, nel 1937, segretario dell'ente. Nello stesso anno si iscrisse alla massoneria (cosa strana ma non rara, pur col fascismo imperante).
Nel 1941 diede alle stampe un volume "L'aquila di Askum" dedicato a uno squadrista bolognese, colonnello d'aviazione caduto in Africa Orientale.
Rientrò a Cagliari poco prima dell'8 settembre del 1943. Ciò, in qualche modo, lo salvaguardò dall'epurazione nei confronti degli ex fascisti. Nel 1946 si recò a Bergamo per lavoro.
Nella città lombarda pubblicò il volume: "Fabas de su molenti miu", raccolta di poesie in sardo-campidanese.
Nel 1947 rientrò in Sardegna e si stabilì a Macomer (NU), dove rimase sino al 1950. A Macomer proseguì la sua attività di studio e si appassionò soprattutto all'archeologia.
Fu in una grotta dell'altipiano di Macomer, di proprietà dell'amico Francesco Marras, che Felice Cherchi procedette a degli scavi portando alla luce oltre 10 mila manufatti quasi tutti di era preistorica e alcune statuine fra le quali la famosa "Venere di Macomer". Felice Cherchi rese nota la scoperta con un articolo apparso su "L'Unione Sarda" del 21 agosto 1949. Mal gliene incolse: le autorità intervennero immediatamente sequestrando tutti i reperti e impedendogli di svolgere ulteriori attività, privandolo anche della paternità di uno dei ritrovamenti archeologici più interessanti della Sardegna.
Nel 1950 si trasferì a Oristano, ove rimase sino al 1961.
E qui iniziò una attività di divulgazione culturale. Nel 1952 a Santu Lussurgiu tenne una lezione sui "Moti anti-feudali di G.M. Angioy", fece e promosse le ricerche su un sacerdote locale, Don Obino, implicato nei moti anti-feudali. Ricerche che lo portarono a pubblicare l'opera, molto apprezzata, "Don Michele Obino e i moti anti-feudali lussurgesi".
Felice Cherchi perse la madre nel 1951, da ciò scaturì una profonda crisi economica. In tale circostanza poté sempre fare affidamento sull'amico Paolo Pili. Inoltre Pili favorì anche l'impegno letterario del nostro: nel 1956 gli fece commissionare dalla Cantina della Vernaccia di Oristano il volume "La vernaccia della Valle del Tirso".
A Oristano Felice Cherchi riprese a occuparsi attivamente di politica. Con il Msi, sin dalla sua fondazione, tenne numerosi comizi elettorali nell'alto Oristanese. Fu anche eletto consigliere comunale del Msi dal 1950 al 1955.
Felice Cherchi era un tipico uomo di destra, amante dell'ordine e conservatore, a più riprese ricevette inviti ad aderire alla Dc.
Rifiutò con sdegno le varie proposte per rimanere fedele ai propri ideali. Nei suoi comizi sosteneva un futuro crollo del regime democristiano per lui troppo permissivo e basato sulle clientele, mentre celebrava i fasti del fascismo, ricordando il prosciugamento delle paludi di Arborea e la fondazione di Carbonia.
Nel 1957 lasciò il Msi per aderire al Partito Monarchico Popolare di Achille Lauro, probabilmente perché, essendo sempre in una situazione economica disastrosa, gli servivano gli emolumenti che il partito gli erogava per tenere i comizi.
La cosa gli procurò non poche critiche sia da parte dei suoi nemici storici, sia dagli ex amici missini, per i quali in quel tempo diventare monarchici era considerato il più ignobile dei tradimenti.
A tutto ciò Felice Cherchi ribatté a muso duro: «Io provengo da una famiglia che si batté da sempre per la libertà e il progresso dei Sardi, il mio bisnonno combatté con l'Angioy, mio nonno fu un attivo repubblicano, non ho nulla di cui vergognarmi e continuo a difendere gli stessi valori pur con uno schieramento politico diverso».
Nel 1956, per la collana i "Quaderni storici e turistici di Arborea" pubblicò "La Sartilla", "Santulussurgiu e S. Leonardo di Settefuentes", oltre alla già citata "La vernaccia della Valle del Tirso".
È del 1958 "Sul magico nastro d'asfalto", guida turistica per i rally e le escursioni automobilistiche.
Nel 1959, su indicazione della Deputazione di Storia Patria pubblicò "Lineamenti storici dell'agricoltura sarda del XIII secolo".
Con moglie e due figli a carico, sempre per alleviare l'indigenza economica, eseguì ricerche in archivi e biblioteche, facendo lavori che altri pubblicheranno come propri.
Scrisse anche discorsi celebrativi e politici.
Nel febbraio del 1961 si trasferì a Cagliari a seguito dell'assunzione come funzionario dell'Etfas del figlio Agostino. Questo fatto diede a Felice Cherchi una certa tranquillità economica e gli permise di pubblicare nell'arco di un decennio numerose opere. Riprese la stampa dell'ampia collana (14 libri conosciuti) dei "Quaderni storici e turistici di Sardegna".
Nel 1963 pubblicò uno dei suoi maggiori e discussi lavori, "La chiesa greca in Sardegna", dove illustrava caratteristiche e origini della chiesa sarda. In una nota a questo volume annunciò l'imminente pubblicazione delle seguenti opere: "Il culto degli animali, delle piante, dei nodi e dei nastri in Sardegna", "I riti fallici in Sardegna", "La cromologia del costume sardo", "La magia e il malocchio in Sardegna", "Stregoneria e medicina popolare in Sardegna".
Sempre nel 1963 pubblicò un breve opuscolo, "La Tuva", un rito agrario di propiziazione della festa di Sant'Antonio Abate, estratto dagli atti del convegno di studi religiosi tenutosi a Cagliari dal 24 al 26 maggio del 1962.
Nel 1969 stampò "Don Michele Obino e i moti feudali Lussurgesi, 1976-1803", opera di indubbio spessore storico e omaggio alla popolazione e al paese che diede il natale ai suoi avi.
Nel 1971 stampò "La Repubblica Teocratica Sarda nell'alto medioevo, 727-1054": il lavoro rappresentava una ulteriore puntualizzazione delle note storiche sulle origini della chiesa sarda.
Nel 1972 ristampò "La Vernaccia nella Valle del Tirso", portandola da 25 a 182 pagine.
Nel 1974 realizzò il progetto più ambizioso e importante della sua produzione letteraria: descrivere la storia del popolo sardo dalle origini sino ai giorni nostri attraverso l'evoluzione delle attività agricole, dell'allevamento del bestiame, della caccia e della pesca. Un lavoro che doveva riassumere gli studi di una intera vita. Avendo ottenuto le necessarie sovvenzioni, sotto gli auspici della Regione Sarda, vengono pubblicati i primi due volumi della "Evoluzione storica dell'attività industriale e agricola, caccia e pesca della Sardegna".
Nel 1976, su invito dell'allora Ministro per i Beni Culturali Giovanni Spadolini, la Sovraintendenza Archivistica per la Sardegna e la Direzione Generale degli Archivi di Stato promossero un ciclo di conferenze sulla "Carta de Logu" per celebrare l'istituzione della Provincia di Oristano.
Al convegno, tenutosi a Oristano, parteciparono sette relatori «fra i più eminenti studiosi della Sardegna». Fra loro c'è Felice Cherchi che parla su "La crisi agraria del Giudicato di Arborea nel secolo XIV".
Nel 1977 pubblicò il III e il IV volume del trattato sull'agricoltura, caccia e pesca in Sardegna. Ma anche questa ultima e monumentale fatica non portò a Felice Cherchi alcun riconoscimento, anzi il mondo della cultura isolana continuò a ignorare il suo impegno. Per inciso Cherchi, poco prima di morire, aveva preparato anche il V volume dell'opera, ma nessuno si è mai preoccupato di recuperarlo.
Purtroppo nel 1978 un fatto increscioso colpì Cherchi: morì all'Ospedale Civile di Cagliari il figlio Agostino. La perdita del figlio spegne l'entusiasmo e l'ottimismo che sino ad allora lo aveva sostenuto anche nelle situazioni più avverse. Pose termine alla sua attività di studioso. Venuto meno lo stipendio del figlio, ripiombò in una situazione economica di povertà. Per vivere vendette parte della sua ricca biblioteca. Vendette antichi e preziosi libri ereditati dagli avi, ma soprattutto iniziò a smembrare il suo archivio personale composto da documenti raccolti in una intera vita.
Nel 1980 stampò la sua ultima opera: il n. 18 della collana "Quaderni storici e turistici della Sardegna, Parteolla e Trexenta".
Malato e sfiduciato, morì a Cagliari il 6 luglio del 1983, all'età di 83 anni.
Bibliografia.
Dal Bollettino Bibliografico e Rassegna Archivistica di Studi Storici della Sardegna - Quaderno del 1994 - Cagliari:
- Serafino Mura, "Personaggi della Sardegna- Ricordo di Felice Cherchi Paba";
- Tito Orrù, "La vita di un agronomo appassionato studioso della Sardegna".
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