Lo stemma degli Aymerich
Ma facciamo un passo indietro nel tempo. Nel 1524 Salvatore Aymerich era stato inviato, quale sindaco dello Stamento militare, presso la Corte di Madrid, ove conseguì - a beneficio del Regno di Sardegna - l'esenzione dal donativo straordinario di novantamila fiorini richiesto per la formazione di un corpo di cavalleria e per i matrimoni delle infanti Caterina e Maria, sorelle del sovrano. A nome dello Stamento militare - col dovuto ossequio ma anche con la necessaria fermezza - aveva fatto presente all'imperatore che i gentiluomini di Sardegna, che in ogni tempo erano stati pronti a sacrificare le loro sostanze e persino le loro vite per il sovrano, non potevano aderire alle richieste della Corona in considerazione della miseria estrema dei loro vassalli. Don Salvatore si adoperò con tanta diplomazia e determinazione al punto che l'imperatore ridusse la pretesa a soli tremila fiorini. Il suo contegno, energico e dignitoso, riscosse l'incondizionata approvazione dei Sardi.
Gentiluomo di nobilissima stirpe e cavaliere dell'Ordine di San Giacomo per virtù militari, don Salvatore Aymerich divenne presto l'esponente più autorevole e stimato di quella classe nobiliare sarda - per lo più originaria di Catalogna e d'Aragona - alla quale, pur potendosi imputare non pochi difetti, non si devono negare grandi virtù. Uomo di tatto e di energia, profondo conoscitore delle condizioni dell'Isola e del carattere dei suoi abitanti, fu spregiudicato nei mezzi da utilizzare per conseguire i fini che si prefiggeva. Era autoritario e spigoloso ma, al tempo stesso, premuroso con gli amici e i familiari, al punto di assumere per loro responsabilità non lievi. Con gli avversari spesso manifestò la sua indole violenta.
Egli avrebbe potuto fare molto per la Sardegna se la politica diffidente della Spagna non avesse trascurato questa forza che - non potendo essere contenuta - finì, quasi per ritorsione, a tenere alto il prestigio e la potenza della sua casta di fronte all'inconsistenza dei rappresentanti del sovrano: luogotenenti senza mezzi e capitani supremi senza truppe. Il non usufruire di uomini appartenenti alla classe nobiliare sarda e con spiccate attitudini di governo e di comando, come l'Aymerich, fu un errore politico dei sovrani di Spagna e un danno grave per l'Isola. Non vi è dubbio che un don Salvatore Aymerich luogotenente generale, coadiuvato da competenti consiglieri, avrebbe potuto attuare molte riforme a vantaggio della popolazione dell'Isola. Di fronte alla diffidenza della Corona, alla lunga, nel gentiluomo prevalse il temperamento aggressivo e insofferente e, nella battaglia ingaggiata contro il potere viceregio e i suoi rappresentanti locali, ritenne lecito l'utilizzo di ogni mezzo.
Ma procediamo con ordine. Don Salvatore era stato nominato governatore della Goletta da Carlo V, che gli aveva altresì concesso il diritto di inquartare nello stemma di famiglia l'aquila degli Asburgo. Quindi, giunto all'apice del successo, agli inizi del 1536 fece rientro da Tunisi a Cagliari dove venne accolto dalla popolazione con ogni onore. Ben presto divenne il capo indiscusso del "partito" della nobiltà sarda: un patto tra famiglie, rafforzato da unioni matrimoniali e da molteplici interessi economici, che generava un sistema di clientele e di reciproci favori in grado di sovrapporsi, come una fitta ragnatela, alle strutture base della società. Era evidente come i vasti legami politici di don Salvatore e il potere da lui esercitato fossero in grado di fare ombra al Viceré don Antonio Folch di Cardona, che lo vedeva al centro di una coalizione di nobili sardi, assai ambiziosi e per nulla disposti a farsi sottomettere. Per la prima volta, dai tempi del marchese di Oristano, si affermava una personalità in grado di coalizzare - in chiave antispagnola - le opposizioni e il malcontento dei Sardi.
Il parlamento del Viceré Cardona fu tra i più burrascosi della storia. In esso vennero apertamente denunciati tutti gli abusi, le angherie e le prepotenze del viceré e dei pubblici ufficiali perpetrate contro i Sardi in palese violazione rispetto alle garanzie e ai privilegi vigenti. In particolare, lo Stamento militare denunziò i molteplici abusi posti in essere durante le operazioni di requisizione del grano e il mancato rispetto del prezzo, pur essendo lo stesso stabilito da un apposito consiglio presieduto dal viceré che poi emanava il relativo pregone. Si chiedeva il libero commercio per tutta l'Isola e maggiori libertà nell'esercizio delle imprese agricole che costituivano il vero tessuto produttivo dell'economia sarda.
Espressione genuina dell'aristocrazia sarda, con i suoi difetti e le sue virtù, don Salvatore Aymerich, signore di Mara e di Gesturi, per i nobili natali e per la fierezza con la quale più volte - anche di fronte al sovrano - aveva difeso i privilegi della sua casta, era la persona che in Sardegna godeva di maggior credito e stima. La classe feudale, con poche eccezioni, lo riconosceva come capo. E veramente don Salvatore era meritevole di questa considerazione giacché, vera tempra di gentiluomo e al tempo stesso uomo d'azione e di parte, non lesinava per i suoi amici la sua opera e le sue risorse, assumendosi pesanti responsabilità e pagando molto spesso di persona per fatti altrui.
Salvatore Aymerich fu il personaggio più influente dei suoi tempi. L'incontrastata autorità gli derivava dalle qualità personali, palesate nelle guerre delle Fiandre e di Tunisi, e dalle estese parentele. Il suo potere era aumentato in quanto le casate dei Maça Carroz, dei principi di Salerno e dei conti di Oliva - forti di larghe aderenze in Corte - gli avevano affidato l'amministrazione dei loro ricchi feudi che complessivamente occupavano quasi la metà del territorio della Sardegna. Tale circostanza lo aveva portato al diretto comando su numerose ville e a frequenti contatti con le famiglie più influenti a Corte.
Gentiluomo di nobile casata, don Salvatore fu militare tra i migliori del suo tempo e rese importanti servizi all'imperatore ottenendo in ricompensa il privilegio dell'abito dei cavalieri dell'Ordine di San Giacomo.
Uomo non digiuno di studi, come attestano le sue lettere, e a perfetta conoscenza delle condizioni dell'Isola e della psicologia dei suoi abitanti, avrebbe certamente lasciato larga traccia di sé a beneficio della sua terra, se la politica diffidente della Spagna non avesse trascurato questa forza in cui le capacità di governo e di comando si univano a forme garbate e manierose.
Con tali doti, con le sue estese relazioni familiari e con l'ascendente che esercitava sulle persone che lo avvicinavano, il signore di Mara in posti di comando, ben servendo la monarchia, avrebbe potuto predisporre un reggimento in grado di togliere la Sardegna dal marasma in cui era stata gettata dall'insipiente politica di viceré incapaci e diffidenti. Quest'energia, riconosciuta ma non usufruita, non poteva essere contenuta e perciò si rivolse - quasi per ritorsione - a tenere alto, di fronte all'inconsistenza dei rappresentanti del sovrano, il prestigio della sua illustre casata e delle altre aderenti alla stessa. Tenne soprattutto a far risaltare che il governo del Regno era imperniato sulla classe alla quale apparteneva: erano i feudatari che, quando il sovrano lo richiedeva, procuravano i donativi e facevano fronte alle esigenze del governo dell'Isola; erano i feudatari che difendevano la Sardegna dalle invasioni nemiche e dalle scorrerie barbaresche, portando al fuoco i fanti e i cavalieri levati dai loro feudi.