EXCALIBUR 134 - novembre 2021
in questo numero

Monte dei Paschi di Siena, un caso italiano

Un destino annunciato che ha origini molto lontane

di Angelo Marongiu
Siena, Piazza del Campo, la più bella piazza italiana
Sopra: Siena, Piazza del Campo, la più bella piazza italiana
Sotto: Monte dei Paschi di Siena, fondata nel 1472 come Monte di
Pietà
Monte dei Paschi di Siena, fondata nel 1472 come Monte di Pietà
È un terreno molto scivoloso quello relativo alle banche, ai suoi intrecci e interessi finanziari e - in casi non troppo particolari come questo - anche politici.
La storia del Monte dei Paschi di Siena - la più antica banca del mondo - è su tutti i giornali di questi giorni e il fallimento delle trattative per la sua acquisizione da parte di Unicredit trova ampio risalto. Un anno gettato via in una vicenda dagli esiti ampiamente scontati.
I maligni - che già sospettavano questo risultato - hanno ironizzato sulla tempistica: l'annuncio ufficiale è avvenuto ben dopo la tornata elettorale amministrativa e le elezioni suppletive del collegio di Siena, che hanno visto la vittoria scontata di Enrico Letta. Il posto da deputato era stato lasciato libero dall'ex Ministro del tesoro Padoan dopo la sua nomina alla presidenza di Unicredit. Altra coincidenza.
Dal 2017 il Monte dei Paschi è controllato dallo Stato, che tramite il Mef ne detiene il 64%, ma che entro il 2021 dovrebbe abbandonarne l'azionariato in base gli accordi presi con la Commissione Europea.
Le traversie e questa specie di discesa agli inferi del Mps sono cominciate tantissimi anni fa.
Negli anni '90 le banche vivevano con alti tassi di interesse e costi sulla raccolta di denaro molto bassi. La rendita delle banche veniva utilizzata in modi diversi, alcuni produttivi altri meno.
Il Monte si muoveva in una cerchia prettamente clientelare (assunzioni, promozioni) e con una elargizione del credito che possiamo definire disinvolta.
Nel 1995 si ha la trasformazione in s.p.a. e l'istituzione della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, ente no-profit con finalità di assistenza e utilità sociale. Quest'ultima è composta da 16 membri: otto nominati dal Comune, cinque dalla Provincia, uno ciascuno dalla Regione, dall'Università e dall'Arcidiocesi di Siena. In una zona dove Provincia, Comune e Regione hanno un solo colore politico è una benedizione, permettendo uno stretto connubio tra l'istituto finanziario e i fini stabiliti dalla Fondazione stessa.
Il Partito Comunista prima, il Pds dopo e ora i Democratici hanno usato la Banca e la Fondazione come una porta girevole, dove i ruoli politici e manageriali si sono sempre intrecciati e dove la competenza non era certo un requisito fondamentale per la gestione economica della banca.
In pratica si aveva la gestione di ingenti capitali affidata più che a esperti finanziari a perfetti conoscitori degli organigrammi di partito. I problemi cominciano con la necessità di stabilizzare gli assets bancari e con l'arrivo dell'euro. Le banche hanno dovuto reinventarsi, razionalizzando e diversificando le loro attività alla ricerca di nuove fonti di reddito.
Il Monte ha cercato la sopravvivenza giocando d'azzardo come tante altre banche. Prima i derivati, in scala ridotta e poi dal 2002 in maniera massiccia, per mascherare in qualche modo una gestione disinvolta. Le acquisizioni di altre banche divennero per alcuni istituti di credito una zattera di salvataggio: il Monte dei Paschi si imbarcò nell'acquisizione della Banca Antonveneta: fu rilevata dalla spagnola Santander per 9 miliardi di euro (gli Spagnoli l'avevano acquisita pochi mesi prima per 6,6 miliardi di euro!).
Un'ispezione della Banca d'Italia del 2010 pone Mps sotto un "commissariamento dolce" e si richiede un primo aumento di capitale. Dopo la sottoscrizione di 2 miliardi, la banca - ormai dalle fondamenta fragili - incappa nella crisi dello spread ed è costretta a vendere diversi assets, compreso il 15% della banca stessa.
Il bilancio 2011 si chiude con un deficit di 4,69 miliardi di euro.
Dopo il cambio della guardia - dimissioni di Giuseppe Mussari dalla presidenza e arrivo di Alessandro Profumo - arriva un'altra ispezione della Banca d'Italia e la Procura di Siena apre un'inchiesta sull'acquisizione di Antonveneta.
Il bilancio del 2014 presenta un passivo di 5,3 miliardi di euro e nel 2015 viene varato un nuovo aumento di capitale fino a 3 miliardi: il Tesoro diviene azionista della banca poiché questa non era in grado di rimborsare 243 milioni di euro di Monti-bonds, emessi nel tentativo di non far affondare Mps.
Nel 2016 la banca viene definita la peggior banca tra le 51 banche europee analizzate.
Il "decreto salvabanche" destina altri 5,4 miliardi di euro per il salvataggio di Mps e nel 2017 alla fine lo Stato entra nel capitale della banca con il benestare di Bruxelles.
Tra spiragli di risanamento (nel 2018 si ha un utile di 279 milioni di euro), condanne varie (Mussari condannato a 7 anni e 6 mesi per Antonveneta), cessioni obbligate di debiti deteriorati, viene varato un piano strategico (altri 2,5 miliardi di euro) per far fronte alla carenza di capitali e ai costi di ristrutturazione.
Su invito perentorio di Bruxelles si avviano le trattative per la cessione della quota detenuta dallo Stato e dopo il fallimento di piani che prevedevano il pareggio di bilancio nel 2022, si è giunti alla rottura di questi giorni.
I giochi di prestigio cominciati tanti anni fa dai vertici della banca e dalla cortese acquiescenza della classe politica hanno portato 13 miliardi di euro dalle tasche dei contribuenti alle casse di Mps e quindi al fallimento totale della politica e della finanza.
Le responsabilità di questa crisi sono molteplici: dal vizio di fondo della connessione troppo stretta tra la Banca di Siena e il partito politico di riferimento (Pci, Pds, Ds - altro che «abbiamo una banca?» di Fassino nel 2005 per il tentativo di Unipol con Bnl) alla scarsa vigilanza delle autorità bancarie e politiche dello Stato (anche qui in omaggio al partito di riferimento), alla ondivaga politica della Bce in materia di trattamento dei crediti deteriorati e le sofferenze bancarie con una incerta politica di "ricapitalizzazione", fino alla supponenza dei vertici della banca, che di fronte a un mercato che richiedeva soggetti bancari sempre più grandi, riteneva di poter marciare da sola.
Ancora oggi il governatore della Toscana, Eugenio Giani, afferma «Mps ce la può fare da sola».
Il vizio iniziale - l'istituto di Rocca Salimbeni e partito - come ruoli intercambiabili non poteva che portare a questo risultato.
Il neo deputato Enrico Letta, oltre a chiedere a gran voce che il governo implori da Bruxelles un'altra proroga (6 mesi, un anno, due anni?), sotto sotto caldeggia per una "nazionalizzazione" (il modello stand-alone?), con un aumento di capitale molto ingente difficilmente reperibile nel mercato e quindi da ottenere dallo Stato, cioè dai contribuenti.
Quella dello stand-alone è una delle tre strategie possibili: le altre due sono la fusione con un'altra grande banca (straniera), oppure - più probabile - la ripresa delle trattative con Unicredit, modificando le condizioni di acquisizione.
Questa vicenda dovrebbe far riflettere e servire da monito: quando i ruoli tra politica e società si fanno confusi e indefiniti e la logica dell'irresponsabilità prevale sulla competenza, il risultato non può che essere devastante.
Il ruolo dello Stato dovrebbe essere un altro, non certo quello di foraggiare gli interessi di pochi e soprattutto nasconderne le malefatte.
Come dice un giornale in questi giorni, intanto il Partito Democratico se ne va in giro fischiettando come se la vicenda non lo riguardasse.
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