Paolo Camedda
Paolo Camedda ci ha lasciato.
Colpa di un malanno. Paolo ne aveva molti e gravi, ma li gestiva con una ammirabile discrezione e una assoluta leggerezza, considerandoli una fastidiosa limitazione a quella che era la sua vera ragione di vita: il suo impegno per la difesa di quelle idee, valori e princìpi in cui credeva profondamente.
Ricordo come fosse ieri, nell'autunno del 1965, quando ci ritrovammo in una panchina di Piazza Repubblica. Eravamo in cinque: Paolo Camedda, Giorgio Usai, Efisio Agus, Gianni Porcedda e il sottoscritto.
Eravamo i più "vecchi" di un mondo giovanile demotivato e disperso il cui punto di riferimento era un Msi dilaniato da lotte interne, chiuso in sé stesso e lontano dalle questioni che agitavano la società civile. Prendemmo in affitto un locale in Vico San Lucifero, 3 (costo 35.000 lire mensili). Ci dotammo pure di un giornale ciclostilato, "Gioventù Nazionale", padre spirituale e materiale di "Excalibur", nel senso che entrambi avevano e hanno lo stesso direttore responsabile, Efisio Agus, e la stessa registrazione nel tribunale di Cagliari.
Poi furono battaglie all'ultimo sangue. Era il periodo della contestazione studentesca, delle violenze della sinistra extraparlamentare, della montante marea antifascista, della svolta a sinistra soprattutto nelle visioni della cultura e dei valori.
Noi si era in pochi, ma grintosi e attrezzati sul piano delle idee, per cui ribattemmo colpo su colpo alle sfide altrui, senza lasciarci abbattere dagli evidenti squilibri di forze, né da tutti gli inconvenienti a cui andavamo incontro. In fondo se oggi siamo ancora qui a battagliare lo dobbiamo alla tenacia e alla costanza con cui abbiamo lottato allora.
Paolo fu sempre in prima linea. Con molta umiltà diceva che non gli andava tanto né di scrivere né di parlare. Si considerava un uomo d'azione, un organizzatore, E fu sempre in prima linea soprattutto nei frangenti più rischiosi e più pericolosi dove si poteva finire all'ospedale, in galera o al cimitero. Lui pagò molto di persona: rimase invalido a una gamba per le percosse ricevute, ebbe la macchina bruciata, finì in carcere.
Ma non fece mai la vittima e, poiché non era un fazioso, ebbe stima e considerazione anche dai suoi avversari più intelligenti.
E così è stato sino ai giorni nostri.
Il tuo ultimo impegno: l'organizzazione della cena per festeggiare la ricorrenza del 28 ottobre. Causa coronavirus non abbiamo festeggiato e causa coronavirus te ne sei andato.
Addio Paolo.