Giovanni Gentile (Castelvetrano 1875 - Firenze 1944)
In questi tempi, si è parlato in termini non molto lusinghieri del ministero della istruzione, complice la disastrosa situazione dei tempi attuali.
Mai tale ministero fu messo alla berlina come in questo periodo, forse anche perché è stato messo in questione dalla attuale crisi del settore scolastico, che dura da decenni, in quanto si è, a mio avviso, cercato di piegarlo, a prescindere dai governi, esclusivamente a mere politiche economiche, perdendo di vista il ruolo dato a tale istituzione, che dovrebbe essere quello della formazione culturale generale del popolo italiano in tutti i settori.
In questa serie di articoli voglio parlare delle dottrine storiche, pedagogiche, filosofiche e politiche di uno dei più grandi (e controversi) uomini del ventennio fascista, esaltato (o vituperato) a seconda degli schieramenti imperanti, ossia Giovanni Gentile, una delle menti più brillanti dell'intellettualità italiana.
Iniziamo quindi a vedere il suo pensiero politico.
Ci si può fare una idea delle idee politiche di Gentile (e della ideologia del fascismo in generale, di cui lui fu considerato, assieme a Mussolini, il principale ideologo) leggendo il "Manifesto degli intellettuali fascisti", da lui redatto.
Vi si sostiene che il fascismo è in pratica la prosecuzione del Risorgimento, che per salvare la Patria dal caos liberale e capitalista, proprio della democrazia parlamentare, e dai disordini anarchici e socialisti anche violenti, aveva dovuto, servendosi dello squadrismo, riportare ordine ingaggiando una vera e propria guerra, per poi potere, una volta acquisito il consenso popolare e della monarchia, farsi stato, limitando, ove necessario, le libertà della democrazia rappresentativa liberale, di modo da garantire una pace sociale modificando un assetto politico, sociale ed economico da capitalistico a corporativo, cercando di armonizzare e comporre i conflitti socio-economici in senso interclassista, a servizio della collettività nazionale, assurta, col nuovo regime, a bene supremo.
Scaturisce da qui quella che in un altro testo, intitolato appunto "La dottrina del fascismo", sarà chiamata "dottrina fascista", sempre scritta dal filosofo insieme a Benito Mussolini, fondatore del regime.
Per loro la stessa autorità è il fondamento delle libertà, che, al contrario delle dottrine liberali, non sono esterne allo stato, ma nascono con esse e vi trovano attuazione solo nel regime di tipo fascista.
Il fascismo in sé è posto come principio superiore alle ideologie politiche e alle organizzazioni che gli sono avverse e prevede la scomparsa di queste, prive ormai di quell'appoggio popolare che ormai va tutto al nuovo regime, ormai istituzionalizzato, e alle nuove idee... in nome di una concezione quasi religiosa della politica ispirata dal pensiero di Mazzini, uno dei padri nobili del Risorgimento, di cui i fascisti si considerano eredi, subito dopo la Prima Guerra Mondiale che hanno combattuto come ultima guerra di indipendenza.
Nel secondo testo da me menzionato è indicata una necessità di proteggere la religione per fini etici, quella di istituire un impero, necessario secondo Mussolini per i fini della vita nazionale, ma presente anche come un bisogno spirituale di espansione.