Comincia la caccia al "sardignolo"
Lo spirito indomito dei Sardi, tanto a lavoro quanto in battaglia, ci rende famosi in tutta Italia.
Tutti parlano di guerre e conquiste che si perdono nell'alba dei tempi, in cui ci sono sempre singole persone o gruppi di esse native della nostra isola che in qualche maniera si distinguono.
Molti sono gli episodi che ritraggono i Sardi come un popolo coraggioso e indomabile mai incline alla sottomissione, specie davanti alle ingiustizie, e tutti noi conosciamo direttamente o indirettamente dei conterranei disposti a creare problemi anche per motivi banalissimi come lo sport, discussioni nei locali, per il parcheggio o quant'altro.
Raccontare certe storie non sorprende mai, è vero, però tendiamo a rimanere sempre sorpresi davanti ad accadimenti storici che non siano fatti bellici e che riguardino la nostra gente fuori dalla Sardegna.
La storia in questione, infatti, è letteralmente sconosciuta ai più e riguarda un nutrito gruppo di Sardi che per motivi economici si trovò costretto a cercare fortuna lontano dalla propria terra natìa.
Niente di strano, dato che il fenomeno continua inesorabile a ridurre sensibilmente la popolazione (specie tra i giovani e giovanissimi), ma a balzare all'occhio sono le modalità, il movente e la ferocia con la quale si scatenò una "caccia al sardignolo" che si fa fatica non tanto a comprendere, ma a trovarne dei precedenti durante tutta la storia nazionale.
Questi fatti vergognosi videro per la prima volta coinvolti criminalità organizzata, forze armate, istituzioni e cittadinanza locale in una pazzesca commistione in tutela del malaffare.
Itri è un comune della provincia di Latina non distante da Napoli (circa 90 km) e nelle giornate del 12 e del 13 luglio del lontano 1911 iniziò la triste storia dei lavoratori sardi che svolgevano le mansioni di operai durante la costruzione della ferrovia Roma-Formia-Napoli e delle loro famiglie a seguito, da tempo residenti nel territorio comunale.
La ditta "Spadari", responsabile della costruzione della ferrovia, era pesantemente condizionata da infiltrazioni di stampo camorristico e pagava il famoso pizzo alla camorra per poter continuare a lavorare godendo della "protezione" malavitosa.
Il pizzo veniva preteso dal malaffare e pagato tanto dagli imprenditori quanto dagli operai (così come tutt'oggi succede in quelle terre difficili), ma tutto degenerò quando sul piano culturale questo non venne accettato dagli operai sardi, che si rifiutarono di elargire le percentuali guadagnate col sudore della loro fronte ai loschi personaggi della malavita locale.
Parrebbe che questo non fosse l'unico fattore scatenate della rivolta dei lavoratori sardi, ma ci fossero una serie di fattori legati anche alle pessime condizioni di vita e anche alla paga inferiore rispetto ai colleghi continentali.
Tutto iniziò il giorno di paga della mattina del 12 luglio: ritirata la paga, i Sardi si recarono in Piazza dell'Incoronazione, incrociarono un uomo a cavallo di nome Antonio Del Bove e dopo un reciproco scambio di offese il tutto degenerò in una rissa.
I carabinieri accorsero sul posto per sedarla e arrestarono solo un Sardo di nome Giovanni Cuccuru, di Silanus.
Gli altri Sardi si rivoltarono per farlo scarcerare ma non servì, infatti altri carabinieri accorsero in rinforzo dei colleghi militari e minacciarono il Cuccuru puntandogli una pistola alla testa, con l'intento di sparargli se non cessava la rivolta.
Nelle ore successive un gruppo di Sardi si spostò nel comune di Fondi per richiedere la difesa dell'Avvocato Nardone, che assunse subito il ruolo fissando un comizio alla lega di difesa economica dei lavoratori di Itri per il giorno successivo.
Il comizio venne respinto dal sindaco di Itri (Gennaro Bureli D'Arezzo) per motivi di ordine pubblico.
Le notizie del fermento in poco tempo si diffusero in paese e col passare delle ore la tensione crebbe, la Piazza dell'Incoronazione si affollò di Itriani e Sardi e tale Domenico Cabras intraprese un diverbio poco cordiale con alcuni locali, dando il via agli scontri che si fecero via via sempre più cruenti sino a quando il sindaco, alcuni assessori, i carabinieri e un nutrito gruppo di locali assaltò i Sardi armi in pugno innescando una carneficina al grido di «
Fuori i sardignoli».
Tra colpi d'arma da fuoco e pugnalate vennero feriti gravemente Francesco Zonca di Bonarcado e Antonio Contu di Jerzu e ci furono molti altri feriti e pure dei dispersi anche durante la notte.
I reduci degli scontri scrissero una querela da presentare al procuratore del Re di Cassino richiedendo la tutela dello stato, ma il giorno seguente del 13 luglio ci fu un rapido trasporto di armi verso il centro abitato.
L'Avvocato Nardone assieme al suo collega Ernesto Lauro corsero velocemente a Formia per cercare di evitare che la situazione degenerasse, ma ormai era troppo tardi.
Gennaro Gramsci (fratello maggiore dei più famosi Mario e Antonio) si affrettò a firmare la richiesta del comizio, ma intanto nel centro di Itri gli scontri erano sempre più pesanti.
Il Caffè Unione si trasformò in armeria per la caccia al Sardo, dato che per sottomettere i Sardi in rivolta i sassi, le bottiglie, i bastoni, i forconi e i pugnali non servivano e chiunque avesse una faccia sconosciuta veniva catturato e linciato come presunto Sardo.
La violenza cieca stava per coinvolgere anche i giornalisti accorsi sul posto e l'inviato de "La Tribuna" venne salvato dal linciaggio dall'assessore Monelli perché scambiato per Nardone (che nel mentre inviò una lettera per informare la stampa isolana).
I Sardi come sempre vennero da vittime definiti carnefici e nei giorni successivi molti furono gli arresti, al fine di bloccare i facinorosi. Molta gente estranea ai fatti fu licenziata in tronco dalla ditta Spadari e la gran parte dei Sardi venne rimpatriata dal prefetto.
Il governo regio, informato di ciò che era successo, dopo una indagine e una interrogazione parlamentare di Cocco Ortu, Carboni Boi e Pais Serra, fece arrestare una sessantina di Itriani responsabili dei fatti, ma ormai era troppo tardi e vennero assolti tutti nel 1914.
Questi fatti videro l'assassinio di Giovanni Zonca di Bonarcado e Antonio Contu di Jerzu, che morirono dopo le ferite riportate assieme ad Antonio Baranca di Ottana, Antonio Arras, Efisio Pitzus e Giovanni Marras di Budoni, Giuseppe Mocci di Villamassargia, Sisinnio Pischedda di Marrubiu, Baldassarre Campus di Birori, Giovanni Deligia di Ghilarza e lo stesso arrestato Giovanni Cuccuru di Silanus.
Decine e decine furono i feriti oltre a qualche disperso.