EXCALIBUR 101 - gennaio 2018
in questo numero

18 dicembre 1938: sorge la città di Carbonia

Ideologia, politica ed economia alla base della città più moderna dell'isola

di Angelo Abis
Sopra: Angelo Abis, presentato dal coordinatore regionale di CasaPound Fabio Corrias, celebra l'anniversario della fondazione della città
Sotto: la Piazza Roma di una Carbonia in costruzione
Parlare oggi, ottant'anni dopo, della fondazione della città di Carbonia non è facile. Si rischia di cadere nella deriva apologetica di un regime, quello fascista, di un uomo, Mussolini, e di una politica economica, quella autarchica. O, al contrario, se si abbraccia la tesi utilitaristica ed economicista, constatare come gli ingenti capitali, totalmente pubblici, investiti in una delle lande più desolate della Sardegna, alla distanza, anziché generare sviluppo e benessere, abbiano visto il completo fallimento di quella industria mineraria, fiore all'occhiello del fascismo, e del configurarsi di una città la cui sopravvivenza è sostanzialmente legata ai cosiddetti aiuti di stato.
Intendiamoci, entrambe le tesi conservano una loro validità oggettiva, ma entrambe, di fronte a un fatto ormai più che datato, è bene che lascino il posto all'analisi storica.
La storia di Carbonia parte da molto lontano, quando la creazione della grande industria e l'avanzata del lavoratore nella scena della storia premono affinché il XX secolo sia l'artefice di un nuovo umanesimo e di una nuova civiltà basata sul lavoro.
Il lavoro non viene più considerato un semplice fattore della produzione, né una attività di natura meramente privatistica, ma acquista rilevanza sociale. Il lavoratore non trova più come sola controparte il datore di lavoro, ma entrambi hanno a che fare con lo Stato che, a seguito della prima guerra mondiale e della disastrosa crisi economica del 1929, obtorto collo, è costretto sempre più a intromettersi nel gioco dell'economia e della finanza.
Cosa non facile per gli antichi stati liberali vissuti per secoli con il dogma della libera impresa, del libero commercio e del bilancio in pareggio. Diverso il discorso per lo stato fascista, al tempo stesso autoritario e populista, che aveva gli strumenti, e se non li aveva era in grado di crearli, per poter incidere in maniera determinante sui processi economici e sociali.
La crisi del '29 si fece sentire in Italia a partire dal '31, mettendo in ginocchio il nostro apparato industriale con un crollo della produzione del 50%, la perdita di 1 milione di posti di lavoro e altrettanti lavoratori costretti a turno a lavorare per soli 3 mesi all'anno.
La crisi si manifestò in Sardegna in maniera ancor più pesante: le attività minerarie persero il 60% degli addetti e, benché il settore fosse stato sostenuto dallo Stato con una legge ad hoc, i fallimenti delle società minerarie furono innumerevoli. A fine '32 fallisce la società carbonifera di Bacu Abis licenziando oltre 600 operai, ma la federazione di Cagliari del sindacato fascista ordina agli operai di occupare la miniera e di continuare la produzione. Dirige la federazione Vittorio Tredici, esponente di spicco del cosiddetto sardo-fascismo, primo podestà di Cagliari, successivamente presidente delle Ammi (Azienda Mineral Metallurgica Italiana).
Il suo nome è ricordato con l'albero dei giusti presso il monte delle rimembranze di Gerusalemme, per aver salvato, durante la sua permanenza a Roma nel '43, una famiglia di Ebrei. Tredici si fa nominare dal tribunale curatore fallimentare e in poco più di 10 mesi, superando immense difficoltà tra cui pure una alluvione, riesce a rimettere in sesto i conti della società. Cessata la gestione fallimentare, la miniera viene rilevata, per il prezzo di 1 milione di lire, da una neocostituita Smcs (Società Mineraria Carbonifera Sarda).
In realtà si tratta di una società costituita ad hoc dalla ben più potente Arsa-Carboni. La società madre ha sede a Trieste ed è in mano a una figura molto nota del mondo industriale e finanziario triestino: l'Ebreo Guido Segre. Il personaggio, già amministratore delegato della Fiat, ha le mani in pasta, servendosi di collaboratori per lo più Ebrei nelle più importanti aziende che hanno sede a Trieste.
Per la sua spregiudicatezza finanziaria è molto mal visto non solo dall'autorità di pubblica sicurezza, ma anche dello stesso partito fascista fin nelle sue più alte sfere. I rapporti inviati a Mussolini contro di lui si sprecano, ma invano. Segre è la carta che Mussolini si appresta a giocare per il rilancio della politica carbonifera.
Ma Segre non è certo una invenzione del Duce. Chi gli suggerisce il nome è con tutta probabilità Alberto Beneduce, personaggio di assoluto rilievo nel panorama politico ed economico dello stato liberale di cui fu strenuo difensore sino al 1925, per poi diventare l'uomo chiave di un indirizzo finanziario e industriale completamente nuovo e originale rispetto ai precedenti, condizionati dal pensiero economico liberale e marxista, di cui però Beneduce utilizza al meglio gli aspetti più validi.
Infatti, se per un verso fu strenuo sostenitore dell'intervento dello Stato nell'economia anche nella forma più radicale della conduzione diretta delle imprese, dall'altro fu per una netta separazione tra quello che è la proprietà pubblica e quella che deve essere la sua gestione, rigorosamente ancorata ai principi privatistici e liberali che caratterizzavano le società per azioni. Detto indirizzo prese il nome, negli anni '30, di economia corporativa o fascista e trovò fans di tutto rispetto quali il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, che tradusse quei princìpi nella politica del "New Deal". In realtà Beneduce fu tutt'altro che fascista. Politicamente fu seguace del socialismo riformista e democratico, tanto da chiamare le sue tre figlie rispettivamente: Idea Nuova Socialista (che sposò il grande finanziere Cuccia), Vittoria Proletaria, Italia Libera.
Fu anche importante esponente della massoneria. Nel 1925, nel corso della crisi per il delitto Matteotti, fece di tutto, con altri esponenti democratici e liberali, per convincere il Re a scalzare, anche con la forza, Mussolini. Poi però sia il suo ruolo importante nella finanza (era, tra l'altro, presidente della Bastogi) sia le sue competenze dimostrate nella gestione di tante pubbliche istituzioni, sia la sua indubbia capacità di far valere gli interessi dell'Italia nei consessi internazionali che discutevano di questioni finanziarie, lo portarono inevitabilmente ad avere rapporti con Mussolini, che del resto aveva espresso apprezzamento nei suoi confronti già da quando Beneduce era ministro del lavoro, nel '21, del governo Bonomi.
Ma torniamo alle vicende di Carbonia. Il 1º aprile del 1935 il Duce riceve Segre a Palazzo Venezia. Pare si sia discusso delle potenzialità del settore carbonifero nazionale. Il 9 giugno Mussolini è a Cagliari per salutare i fanti della divisione "Sabauda" in partenza per l'Africa Orientale. Nel pomeriggio trova il tempo per visitare la miniera di Bacu Abis. Dopo la visita comunica a Ciano: «Bisogna mettere in molto rilievo questa visita. Costituiremo un'Azienda Carboni Italiani sul tipo dell'Azienda Petroli Italiani». Il 26 luglio viene dato alla stampa un comunicato scritto personalmente da Mussolini: «È in corso di costituzione l'Azienda Carboni Italiani (A.Ca.I.) allo scopo di potenziare i molti giacimenti di carbone minerale. L'Azienda Carboni Italiani si baserà sulla fusione della società Arsa e Bacu Abis e avrà carattere parastatale come l'Agip. A presiedere l'importante organismo è stato chiamato il comm. Guido Segre di Trieste».
Gli effetti operativi del nuovo ente incominciano a farsi sentire in Sardegna solo l'anno successivo.
È del maggio 1936 la seguente nota de L'Unione Sarda: «Sotto l'impulso dell'A.Ca.I. si sta svolgendo un metodico lavoro di ricerche nel territorio di Serbariu [...]. Otto sonde, distanti duecento metri una dall'altra, frugano il terreno da Barbusi sino al territorio di Palmas Suergiu [...]. Se i sondaggi riconosceranno la effettiva esistenza di vaste zone produttive [...] la produzione di questo bacino carbonifero potrà fornire molto rapidamente il 10/15% del fabbisogno nazionale e cioè oltre un milione di tonnellate».
A questo punto non si tratta più di incrementare la produzione, ma di creare una rete di infrastrutture comprendente case, strade, trasporti marittimi e ferroviari e quanto è necessario per la sistemazione di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie. Il regime scarta la scelta di costruire dei villaggi a bocca di miniera per rendere possibile l'afflusso di manodopera stabile e opta per la costruzione di una vera e propria "città nuova" sulla falsariga di Mussolinia e Fertilia.
Il 10 giugno del 1937 fu posta la prima pietra del Comune di Carbonia. Il progetto della città è steso dall'ing. Cesare Valle e dall'arch. Ignazio Guidi, a cui il presidente dell'A.Ca.I., nonché dell'annesso Istituto Case Popolari, Segre, aggiunse un architetto ebreo di sua fiducia, Pulitzer, non mancando egli stesso, sempre onnipresente nella costruzione della città, di imporre proprie scelte architettoniche come il campanile voluto simile a quello eretto nella città di Aquileia.
In poco meno di un anno Carbonia fu edificata nelle sue parti essenziali da circa 5 mila lavoratori dell'edilizia, oltre i 10 mila impiegati nelle miniere. Il 18 dicembre 1938 Mussolini la inaugurava parlando dalla torre Littoria.
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