Sopra: celebrazione della conquista coloniale
Sotto: testata di una rivista dell'epoca
La Divisione Sabauda, l'8 giugno 1935, ebbe l'ambìto onore di ricevere il saluto del Duce a Cagliari, fra il tripudio delle genti sarde, destinata poscia a portare alta la bandiera italiana nell'Africa Orientale. A essa, siccome mobilitata in A.O.I., con particolare sentimento fu dedicata una serie di studi e di corsi di lingue africane, con un carattere generale ma al contempo pratico e sufficiente per consentire almeno un primo orientamento alle nostre truppe ivi dislocate.
Fra gli studiosi non espressamente accademici ma del pari valenti, vi fu il Col. Carlo Bonetti, già Comandante del II Battaglione del 60º Fanteria durante la Grande Guerra e quindi Consigliere dell'Istituto Coloniale Fascista - Sezione di Cagliari.
Egli cominciava l'esposizione con la lingua abissina, che appartiene a uno dei cinque rami nei quali si dividono le lingue semitiche (così dette da Sem, figlio di Noè), dandone un sintetico prospetto. Quei rami sono anzi tutto l'Ebraico, che comprende la lingua ebraica propriamente detta, coi suoi quattro dialetti: l'Ebraico antico, non più parlato dalla cattività in Babilonia del 538 a.C., sotto Ciro; il Caldaico, che succedette al primo e si parlò sino all'XI secolo; il Samaritano, sorto circa sette secoli a.C., un miscuglio d'Ebraico, di Caldaico e di Siriaco; il Rabbinico, creato dagli Ebrei di Spagna. Vi è poi la lingua fenicia, parlata in antico su alcune coste della Siria e del Mediterraneo. Quindi la lingua punica o cartaginese, ancor parlata in Africa al tempo di Sant'Agostino (circa 354-430 d.C.). Purtroppo delle ultime due non rimangono che qualche inscrizione e alcune medaglie.
In altro ramo vi è il Siriaco, che a sua volta comprende: l'antica lingua siriaca delle contrade del Tigri e dell'Eufrate, che parrebbe esser ancor oggi la lingua ecclesiastica del giacobiti (setta cristiana che ebbe a capo Euticchio, l'eresiarca greco che venne condannato anche dal Concilio di Calcedonia), dei maroniti (cristiani del Libano) e dei nestoriani (seguaci di Nestorio, anch'egli condannato da altro Concilio, quello di Nicea); tale parlata è spesso frammista con altri antichi dialetti, fra i quali il Palmireno, il Nabateo e il Sabeo.
Ancora, altri rami sono costituiti dal Medico, che comprende il Palhevi (o Pehlvi), in antico parlato nella Persia occidentale, nella Media e sulle rive del Tigrè. E dall'Arabico, che comprende il solo Arabo, il quale aveva in antico due dialetti: l'Himiari, che non giunse sino a noi, e il Qoreìchi, da cui trae origine la lingua di Maometto. Propriamente, l'Arabo puro è rimasto solo in Arabia, mentre il dialetto arabo viene parlato in Africa.
E finalmente, ad altro ramo appartiene l'Abissino, che si divide in Axumita (Gheez antico e Gheez moderno) e Amharico, che si parla nell'Impero di Abissinia ed è un miscuglio di Gheez antico e di Arabo corrotto.
Tutte le lingue semitiche, tranne quella Abissina, si scrivono da destra a sinistra. Delle lingue abissine propriamente dette, il Tigrè e il Tigrai (o Tigrino, così chiamato da noi Italiani) costituiscono il gruppo settentrionale delle lingue semitiche d'Abissinia, l'Amharico il gruppo del centro, i dialetti Guraghè e lo Harari il gruppo meridionale - per quanto già fuori dell'Abissinia.
L'Amharico è parlato nell'Abissinia centrale, in quella meridionale e in quella occidentale, quindi da Amhara a Scioa, da Beghender a Sembièn. È la lingua dell'Amhara, dove era la corte abissina e perciò si è tanto estesa.
Il Tigrino o Tigrai (che è una sorte di Etiopico alquanto modificato) è parlato al di qua del Taccazzè e dal Mareb al Belesa, zona di Asmara che giunge a sud-ovest sino al Lago Ascianghi.
Il Tigrè è parlato nell'Eritrea settentrionale, nelle isole Dahalac, a Massaua sino al territorio di Cherèn (dove si parla anche l'Agau); certe popolazioni addirittura parlano il Tigrè più puro, resistendo e anzi rifiutando ogni islamismo.
Ma in Abissinia vi sono anche altre lingue, considerate quasi principali. Le lingue Agau o kushitiche, parlate dagli antichi occupatori dell'altopiano abissino e precedenti quelle semitiche. Esse si suddividono in dialetti Agau dell'Abissinia Centrale; Bilin o Bogos; dialetti Agau del nord-ovest; lingue Agau del Sud Ovest.
Indi, le lingue kushitiche del nord (dialetti Begia e Adaro - sino quasi al confine nord dell'Eritrea); le lingue basso-kushitiche, parlate dalle tribù a est e a ovest dell'Abissinia, dalle zone montane sino a digradare al Golfo di Aden e grandi laghi (dialetti Saho - nella regione del Golfo di Arafali sino agli altipiani; Afar o Dancali fra il Mar Rosso e le Alpi Abissine).
Ancora, il Somalo è la lingua della nostra Somalia; l'Oromonico è parlato dai Galla, provenienti dall'Uganda e dalla stessa Somalia, e da altri indigeni distribuiti in Etiopia meridionale e occidentale, nella colonia del Kenya (che allora si scriveva Chenia), nell'Oltre Giuba e a sud del Uebi Scebeli a oriente dei Laghi Margherita e Ciamò.
Vi sono poi le lingue Sidama, a sud dell'Abissinia fra i predetti laghi e la Valle dell'Omo, coi dialetti Caffa (ad ovest, nell'omonima zona da dove si diffuse il caffè), Omo, Danrò, Hadià, Sidama, Combatta, Yangarò e così via.
Infine, le lingue nilotiche fra le quali - di speciale interesse per noi Italiani - la Cunama (a sud-ovest dell'Eritrea) e Baria (ad est di codesta). Dopo aver così descritto le varie parlate, il Col. Bonetti commentava che le lingue che più interessavano l'Italia erano quelle dell'Amarico, in quanto lingua della Corte Abissina e come tale ben compresa dal confine dell'Eritrea alla regione dei laghi del sud, lingua nazionale - tale dichiarata ufficialmente sotto il regno di Amhada Sion (XIV secolo); il Tigrai a nord; il Somalo a sud; l'Arabo - predominante sulla costa del Mar Rosso e inteso un po' ovunque siccome lingua della religione musulmana; e poi ancora lo Swahili - lingua principale dei Bantu, parlata sino a Lamu e in parte nella Somalia Italiana e nell'Oltre Giuba e compresa dal Basso Nilo sino al Mozambico e anche in buona parte dell'Equatoria, dell'India e della stessa Arabia.
L'insigne studioso concludeva quasi osannando lo Swahili, esperanto dell'Africa, rammentando che anche all'Istituto Coloniale Fascista in Roma si insegnava - oltre all'Amharico - proprio lo Swahili, riportando le parole e i concetti espressi anche da altri eminenti suoi colleghi (Eliott, Beeker, Cameron), auspicando - nel cultore e nell'allievo - la necessità di accingersi a uno studio razionale e agevole, al fine di porsi in condizioni di rendersi sempre comunicativi in Africa e non solo in quella Orientale Italiana.