Il movimento attrae più dei partiti tradizionali
Gente strana questi Italiani. Ma ancora più strani sono i politici italiani. All'indomani dei ballottaggi nelle principali città d'Italia tutti, ma proprio tutti, si sentono in dovere di analizzare i risultati scaturiti dalle urne.
Inutile ribadirlo, oggi possono dire di aver vinto solo i 5 Stelle, che finalmente si ritrovano al governo di grandi città e si rimettono alla prova all'indomani dalle disastrose esperienze di Parma e Livorno, solo per citare alcuni esempi.
Il movimento, guidato da Di Maio e Di Battista, attrae più dei partiti tradizionali e, diciamoci la verità, sa comunicare meglio. È più accattivante, dà un'immagine meno vecchia e, nonostante gli scandali che cominciano a venire a galla, riesce a dare all'elettorato una speranza. Ma non basta, non basta gridare "onestà" così come se il patentino agli onesti venisse distribuito solo da un'élite che ricorda tanto una setta, non basta dire "non siamo politici, ma impareremo a far politica", io non vado a farmi curare da un sedicente dottore che un domani forse prenderà la laurea in medicina. Non basta soprattutto perché, ed è un dato che nessuno analizza, i risultati non sono così netti come vorrebbero farci credere. A Roma si sono recati alle urne il 50,71 % degli aventi diritti al voto, vale a dire che i 770.000 consensi riscossi da Virginia Raggi al ballottaggio equivalgono al 32% dell'elettorato, e la musica non cambia poi tanto a Torino. Dicono che sono calcoli inutili, che servono solamente a demonizzare un movimento che di concreto ancora ha fatto poco, per non dire nulla, ma è il sintomo di una disaffezione senza precedenti e che merita una riflessione più ampia rispetto alle battute semplicistiche con cui viene liquidato.
In ogni caso, adesso tocca a loro.
E che dire del Pd? I Dem (si fanno chiamare così perché fa più tendenza) si accontentano di Bologna ma soprattutto di Milano, che sicuramente era la città più in bilico. Sala e Parisi erano due candidati speculari, il primo che si pone in continuità con quanto ha fatto la giunta di centrosinistra, l'altro che voleva invertire la rotta e dare a Milano un altro tipo di amministrazione.
Il Partito Democratico, complici alcune sterili polemiche sollevate dalla segreteria in questi mesi di campagna elettorale, ha sbagliato completamente strategia e il risultato che fa più male non è tanto quello di Roma, dove la sconfitta era ampiamente preventivata, quanto quello di Torino. Nel capoluogo piemontese Piero Fassino, uomo dell'establishment di centrosinistra, si è lasciato beffare da una giovane irriducibile pentastellata, nonostante i numeri e i sondaggi gli dessero ampiamente ragione prima del voto.
Ma il Centrodestra che fine ha fatto?
Di quel glorioso centrodestra che fu non rimane traccia se non a Trieste, Novara, Olbia e poco più. Spazzati via al primo turno quasi tutti i candidati di Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia, alcuni leader non hanno avuto di meglio da fare che indirizzare i propri voti alle compagini grilline. E oggi esultano, non tanto per una vittoria che non gli appartiene, quanto per la sconfitta del Partito Democratico e di Renzi. Non credo ci sia molto di cui rallegrarsi dopo un simile disastro, aver poi regalato voti alle varie Raggi e Appendino non è sintomo di lungimiranza politica, quanto di improvvisazione.
Il centrodestra si è ridotto così: incapace di guidare l'elettorato, adesso lo rincorre con la bava alla bocca.
Berlusconi ha indubbiamente rovinato la destra italiana, ormai incapace di trovare un leader al di fuori dell'ex cavaliere che, complici anche i problemi di salute e l'età, con molta probabilità dovrà tirarsi fuori dai giochi.
Salvini, le sue ruspe e le sue felpe hanno funzionato una volta, ma poi sono diventate ossessive e anche un tantino ridicole. Non basta scimmiottare i vari Le Pen e Trump, anche perché si incorre nel rischio di fare delle figuracce.
Il giochino de "l'avviso di sfratto" a Renzi è grottesco, soprattutto dopo un ventennio passato a combattere gli antiberlusconiani di sinistra. C'è da rifondare un centrodestra, soprattutto con lo sguardo rivolto al prossimo appuntamento referendario di ottobre, e per rifondarlo ci vuole soprattutto senso di responsabilità, con moderazione, senza scalpitare o urlare. Ma bisogna fare in fretta, non c'è più tempo.