EXCALIBUR 86 - aprile 2015
in questo numero

Ha ancora senso parlare di Italia?

Indipendenza, secessione, multiculturalità: si può ancora credere?

di Lorenzo Argiolas
Un Tricolore che si sgretola sempre più
Ha ancora senso parlare di Italia?
Oggi, nel momento in cui si celebra il centocinquantaquattresimo anniversario della nascita d'Italia e nel momento in cui diversi sono gli argomenti che dominano la scena politica, e non, del nostro paese, ha più senso che mai porsi questa domanda.
C'è ancora spazio per l'italianità? In un'epoca in cui si parla di Italie, di indipendenza, di secessione, di multiculturalità e di rinuncia alla sovranità nazionale, sembrerebbe anacronistico definirsi orgogliosamente Italiani. E, ancora, stride sentir parlare di valori come attaccamento alla patria in un momento in cui le istituzioni, in primis lo Stato, sono così lontane da quei cittadini che contribuiscono ogni giorno al loro mantenimento.
E allora perché credere ancora in quest'unione nazionale che sembra averci causato più danni che altro? Non voglio credere che i nostri padri un giorno si sarebbero mai immaginati questa triste situazione. Le vicende che ci sono state trasmesse attraverso la storia parlano di un Risorgimento eroico in cui si sperava semplicemente di costruire un futuro di serenità e libertà per tutto il popolo italiano.
Sicuramente, nella seconda metà del XIX secolo, non c'era ancora quella coscienza che portò alla nascita del patriottismo e non dev'essere stata impresa da poco costruire l'Italia. Erano tempi difficili, come se non peggio di quelli che stiamo affrontando noi adesso, le ingerenze estere si sentivano eccome, la delinquenza era forse ai massimi storici, fame e miseria imperversavano, ieri più che allora (forse l'unica nota positiva è che loro non avevano Renzi).
Eppure quegli uomini combatterono per cosa? Semplicemente per sperare di costruire un qualcosa di migliore, per i propri figli prima che per loro stessi.
Sarebbe allora il caso di combattere (metaforicamente s'intende) per cambiare le sorti di questo nostro paese, per essere noi artefici e protagonisti del nostro sociale, riappropriandoci di quei diritti che ci sono stati scippati in tanti anni di promesse mai mantenute.
Come? Cambiando noi stessi per primi, non aspettandoci che sia il politico di turno a dare il buon esempio, non inveendo contro lo Stato sempre e comunque. Partendo da piccoli gesti concreti, partendo da ciò che può sembrare ovvio, scontato e banale, proprio come quest'articolo, e che in fondo non lo è.
Perché quest'Italia chi la cambia se non noi?
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