EXCALIBUR 86 - aprile 2015
in questo numero

Diego Fusaro: "Antonio Gramsci"

Un Gramsci inedito, seguace di un Carlo Marx idealista, privato dalle bardature di tipo materialistico e deterministico, allievo (a sua insaputa) di Giovanni Gentile

di Angelo Abis
Sopra: la copertina del libro "Antonio Gramsci", di Diego Fusaro
Sotto: una foto dell'autore e lo stesso alla Conferenza sull'Europa all'Exma di Cagliari nel marzo 2015
Innanzitutto chi è Diego Fusaro? Per rispondere ci affidiamo a una sua presentazione: «Non amo descrivermi e, tuttavia, preferisco che a farlo sia io e non il si dice" di heideggeriana memoria. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx, di Gentile e di Gramsci. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra. Se, infatti, la sinistra smette di interessarsi a Marx e a Gramsci, occorre smettere di interessarsi alla sinistra: e continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell'emancipazione umana e dei diritti sociali. Ho una passione durevole per la filosofia e un amore sfrenato per il mare, immagine mobile della libertà. Credo nelle idee che sostengo e non le baratterei per nulla al mondo. Odio gli indifferenti e gli opportunisti. Non voglio avere nulla a che fare con i servi e con il pensiero unico. Resto convinto che in filosofia la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell'opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto».
Noi aggiungiamo che Fusaro è nato a Torino nel 1983, insegna Storia della filosofia presso la facoltà di filosofia dell'Università "Vita-Salute" di Milano e, benchè giovanissimo, ha già alle sue spalle la pubblicazione di una decina di volumi sulla filosofia, tutti abbastanza corposi e di spessore.
Fusaro ha il dono invidiabile di saper rendere facilmente comprensibile il pensiero complesso dei grandi filosofi europei del '900. Si avvale di questo dono non solo nella sua vasta produzione libraria, ma anche mettendo su youtube una serie di lezioni, conferenze e dibattiti, tutti godibilissimi anche per un pubblico non proprio ferratissimo in filosofia.
Di tutto questo abbiamo avuto un riscontro diretto ascoltandolo nel corso di una conferenza sull'Europa organizzata il 21 marzo scorso, all'Exma di Cagliari, dalla validissima associazione culturale "Caravella".
Al giovane filosofo va riconosciuto il merito di aver sotratto la filosofia al luogo comune di un pensiero un po astruso e astratto, totalmente scisso dalla realtà, per rivendicare a essa un ruolo principe nella guida dell'agire umano.
Ogni uomo è filosofo in quanto elabora un modello di vita (la teoria) e con questo prova a incidere nella società mediante la volontà del fare (praxis per Marx e Gramsci, atto puro per Gentile) generando così la storia.
Partendo da questo assioma Fusaro prova a interpretare la società del XXI secolo così come si è storicamente determinata usando ancora la categoria della dialettica marxista dei dominanti e dei dominati. In questa fase storica, il primo termine della dialettica è rappresentato dal capitalismo che ha eliminato dal suo cammino ogni limite, ogni ostacolo e ogni impedimento, imponendo alla società le nuove divinità che prendono il nome di mercato, globalizzazione, consumismo illimitato, edonismo sfrenato, ecc..
Non a caso Fusano parla di "capitalismo assoluto" nello stesso modo con cui la Chiesa cattolica compendia brama delle ricchezze, pervertimento dei valori morali, distruzione dei valori sociali nella figura del diavolo. Questo capitalismo detta le sue leggi al mondo servendosi a livello geopolitico di quella che Fusaro chiama la "monarchia mondiale" degli Stati Uniti. A livello Europeo la sua longa-manus è la Comunità Economica Europea a partire dai trattati di Maastricht e di Lisbona, con le sue politiche di depotenziamento degli stati nazionali, con l'espropriazione del loro diritto di battere moneta e di governare l'economia.
Ma il capitalismo "assoluto" non si occupa solo di economia, di merci o di moneta: ha prodotto anche una una dottrina altamente sofisticata e, per così dire, diabolica: il pensiero unico neoliberista, il cui fine è quello di coartare in maniera dolce intelletti e coscienze, sì da considerare come un optimum irreversibile la società i cui dati valoriali positivi sono unicamente quelli connessi all'economia, al mercato, al consumo.
Detta visione, peraltro già espressa, con poche variazioni, da intellettuali non certo di orientamento marxista, quali Marco Tarchi, Massimo Fini o Andrè De Benoist, non ci convince completamente. Sopratutto non appare realistica la declinazione del capitalismo al singolare, come un assoluto indifferenziato, primo motore e unico padre di tutte le derive politiche, economiche, sociali e culturali della società moderna.
Detto ciò, è evidente che per Fusaro il "capitalismo assoluto" è qualcosa che va ben oltre il mero sistema di creazione e moltiplicazione della ricchezza e persino oltre quella che è la sua "sovrastruttura", cioè il pensiero unico neoliberista, per assurgere a paradigma di una concezione del mondo e della vita (la tedesca "weltanschauung"). Detta "weltanschauung" si è affermata, per dirla con una frase di Ezra Pound, citata da Fusaro: «Quando smisero i Re, ricominciarono i banchieri»
I "banchieri", nella seconda metà del XX secolo, registrarono sui "Re" due vittorie epocali. La prima fu quella della "rivoluzione" del '68, che decretò la morte dei valori borghesi (Dio, patria, famiglia, onore, disciplina, sacrificio, ecc.), oggettivamente un limite e un impedimento al dispiegarsi dei "disvalori" del capitalismo. La seconda fu quella del 1989, allorchè implose l'Unione Sovietica, unico argine, al di là di tutte le sue nequizie, sul piano geo-politico, allo strapotere della potenza capitalistica per eccellenza, cioè gli Stati Uniti. Con questa vittoria passa la concezione dell'economista e politologo nippo-americano Francis Fukuyama, noto per essere l'autore del saggio politico del 1992 "Fine della storia". Nel saggio, Fukuyama sostiene che la diffusione del capitalismo e dello stile di vita occidentale in tutto il mondo potrebbe indicare la fine dello sviluppo socioculturale dell'umanità e divenire pertanto la forma finale di governo nel mondo.
Fusaro, così come a suo tempo Carlo Marx, non accetta la resa al capitalismo, ma si rende conto che il proseguo della lotta non può più basarsi su una classe sociale, nè, tantomeno limitarsi al solo aspetto economico: occorre ripartire da una idea forza, da una filosofia, di cui possano servirsi tutti quei corpi sociali, che antepongono ai valori del mercato e dell'omo economicus i valori dello stato sovrano, della religione, della famiglia. Fusaro vede questo principio e questa filosofia nel pensiero di Antonio Gramsci, ma, poiché intende rendere operante Gramsci prioritariamente nell'ambito della società italiana, sgombra subito il campo da ogni ipotesi internazionalista: «Nel nostro paese l'esterofilia compulsiva - emblema della nostra subalternità culturale e di quella funesta tendenza, tutta italiana, a essere cosmopoliti e non nazionali [...] non cessa di far precipitare nell'oblio giganti del pensiero novecentesco come Gramsci e Gentile».
Nella sostanza, il volume di Fusaro su Gramsci lungi dall'essere una mera biografia culturale del pensatore sardo, si propone di enucleare dalle sue opere una filosofia che ha origine da Carlo Marx, ma di quel Carlo Marx profondamente rivisto ed emendato da Gentile, sopratutto in quell'aspetto, essenziale per attualizzare Gramsci, costituito dalla filosofia della prassi (all'ingrosso: l'agire umano che modificando la realtà crea il processo storico). Scrive infatti Fusaro: «Coniugando (Gramsci, n.d.r.) la giovanile lotta contro l'indifferenza e la lezione di un Marx letto - tramite la mediazione dell'attualismo di Gentile - come filosofo della prassi, la gramsciana filosofia della praxis rigetta l'economicismo deterministico e muove dall'assunto che non sia la dialettica interna alla base strutturale (capitalismo, lotta di classe, n.d.r.) a produrre meccanicisticamente crisi e transizioni. A generarle è, al contrario, il conflitto politico (il cui dato strutturale è la dialettica amico-nemico, secondo la definizione del giurista e filosofo della politica, il nazista Carl Schmitt, n.d.r.), che pure sorge sul terreno della struttura economica, risultandone influenzato, ma non determinato in maniera rigida. [...] Valorizzando il nucleo filosofico del pensiero marxiano, [...] Gramsci si richiama [...] implicitamente a Gentile (La filosofia di Marx, 1899). Entrambi [...] avevano individuato il carattere autenticamente filosofico di Marx ("idealista nato", secondo la formula gentiliana)».
Nè Fusaro tiene minimamente conto delle dure critiche e delle obiezioni che Gramsci muove al filosofo idealista, nè della sua intenzione di scrivere un "Anti-Gentile", cosa che non farà.
Anzi, giudica questa posizione mistificante: «Si potrebbe anzi dire che la filosofia della praxis sta all'attualismo di Gentile come la concezione materialistica della storia di Marx sta all'idealismo di Hegel: quanto più Marx crede di essersi affrancato da Hegel, tanto più resta stabilmente hegeliano, proprio come Gramsci, quanto più ritiene di aver elaborato un pensiero distante dalla filosofia dell'atto di Gentile, tanto più permane sul terreno dell'attualismo. [...] Gramsci non può assumere Gentile come proprio bersaglio polemico, perché ciò equivarrebbe [...] a lottare contro i fondamenti stessi della propria filosofia della praxis, variante rivoluzionaria dell'attualismo gentiliano».
Ma il pensatore sardo è tributario di Gentile non solo per la filosofia della prassi, ma anche per la critica dello storicismo (la comprensione della storia come unica forma di conoscenza pura) di Benedetto Croce.
La stessa concezione del partito come strumento della politica e della pedagogia rientra più nel perimetro dello stato etico gentliano che di quello liberale.
Non solo, lasciamo ancora la parola a Fusaro: «Nè può passare inosservato il fatto che l'identità istituita da Gramsci tra filosofia e politica è, essa stessa, già tutta gentiliana: in politica e filosofia (1918), Gentile aveva sostenuto che solo Marx e l'attualismo avevano posto in essere l'identità tra politica e filosofia nella forma di un sapere che "fa tutt'uno con la politica reale". Perfino nel modo gramsciano di concepire la religione si avverte la presenza di Gentile. Per l'intellettuale sardo, la religione non è solo, marxianamente, alienazione e protesta: è anche fenomeno culturale e senso comune che permette ai semplici di orientarsi nel "mondo grande e terribile"».
Ci sarebbe ancora molto da aggiungere e da approfondire su quanto detto da Fusaro. A noi non sfugge l'importanza sul piano culturale e politico della riproposizione di un Gramsci riscattato da tutte le ipoteche vetero-marxiste, internazionaliste, laiciste e individualiste, declinato nella sua versione nazional-popolare, comunitaria, pienamente inserito nella cultura e nella storia d'Italia.
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