Ugo Pasella col suo plotone di guastatori. La foto è stata fatta probabilmente in Toscana nell'inverno 1943
Ormai siamo vicini alla fine della guerra. Sì. Dalla zona di Bolzano ci siamo spostati a Bassano del Grappa e pensavamo ancora di combattere, di andare in Valtellina.
A un certo punto arrivò l'ordine di andare verso Marostica, vicino a Bassano, e poi, con i reparti superstiti, verso Venezia. Ma fummo circondati dai partigiani.
Morelli allora fece un accordo con i partigiani non comunisti: il "Valanga" avrebbe consegnato le armi, in cambio di un rifugio a Bassano. Morelli si offrì come ostaggio. I partigiani accettarono e così il "Valanga" fu sciolto [il 28 aprile 1945]. Poi ci hanno lasciati liberi.
Un po' si sono diretti nelle chiese, perché correva voce che lì si poteva trovare un rifugio sicuro. Alla fine eravamo in nove dello stesso battaglione, e ci siamo diretti a piedi verso Venezia. A un certo punto, eravamo ancora praticamente a Bassano, vediamo una banda, con tanto di bandiera rossa, con alcune donne in prima fila che erano più scalmanate degli uomini; tutti gridavano. Noi, tranquilli dell'accordo fatto con i partigiani, stavamo lì a guardare. A un tratto una donna, guardando verso di noi: «Eccoli, sono lì. I fascisti!». Ci acchiappano, ci volevano fucilare. E ci hanno messo al muro...
Vi hanno proprio appoggiati al muro... Per essere fucilati.
Per fortuna, la zona era in mano ai democristiani, infatti, nel plotone d'esecuzione, c'era un comandante partigiano democristiano che prendeva ordini da un prete, un certo Don Primo, e tutte le volte che pigliavano una decisione si voltavano verso di lui e dicevano; «Don Primo, cosa ne dice?» E noi, al muro, a guardare questo prete.
All'improvviso, forse avvertiti da qualcuno, sono arrivati gli Americani e ci hanno portati via e messi in una villa. E così siamo rimasti lì qualche giorno, poi sono arrivati i camion , ci hanno caricato e portati a Coltano.
Dopo Coltano è rientrato a Sassari. Quando sono uscito da Coltano sono andato a Civitavecchia, cercavo un imbarco, ma niente. Alla fine mi hanno detto che a Napoli c'era un centro di raccolta: si poteva tornare in Sardegna. E allora mi son diretto a Napoli e insieme ad altri prigionieri mi sono ricoverato al Chiostro di San Martino, a Posillipo, una delle colline di Posillipo.
Poi è arrivata una nave da guerra italiana, e ci ha scaricati a Cagliari. Sono arrivato a Sassari che saranno state le tre e mezza, le quattro del mattino.
A Sassari due giorni dopo mi sono presentato al Distretto Militare, a dire che ero arrivato. E un maresciallo tutto pomposo mi ha detto: «Signor Pasella, lei non è più un ufficiale», «E come non sono più ufficiale?», «No, perché in base al disposto del Principe Regnante gli ufficiali che hanno partecipato alla Decima MAS della Repubblica Sociale sono stati puniti con trenta giorni di fortezza e rimossi dal grado, in attesa di giudizio».
A me poco importava: io non ero ufficiale di carriera, ero ufficiale di complemento. Il guaio è venuto quando sono tornato al lavoro, in ufficio. Anche lì mi hanno detto che la direzione l'aveva presa un comunista, un poco di buono... Dessì, Fausto Dessì.
Quindi è rimasto senza lavoro? Sono stato epurato.
Due anni e più, due anni passati senza lo stipendio. Epurato da questo, epurato da quello, mi sono trovato a fare il libero professionista, io sono perito agrario. Mi aiutò un mio cugino avvocato: «Se hai qualche causa o amici che hanno qualche causa, fammelo sapere, così...».
E così sono diventato perito del Tribunale. Avevo lasciato gli studi da tanti anni: mi sono rimesso a studiare, e siccome ero amico di Foddanu [un libraio storico di Sassari], tutte le volte che sapevo di qualche libro che mi interessava, andavo da lui e me lo facevo dare a rate.
È stato un buon amico.
Ho fatto diversi progetti di pozzi artesiani, rettifica di confini, valutazione di fondi, venivo chiamato spesso quando c'era qualche causa, e anche la Cassa del Mezzogiorno mi ha dato diversi incarichi.