Il Ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti
Sarà per il tono dimesso della voce o per la figura mite, ma Giulio Tremonti sembra un bersaglio ideale. In passato da destra è stato pesantemente attaccato: ricordate quando venne defenestrato dal governo Berlusconi su richiesta di Fini e di Casini e la velleitaria "cabina di regia" che avrebbe dovuto farne le veci? Non se ne fece nulla perché c'erano pochi economisti e molti specializzati in demagogia socio-economica. Il premier dovette richiamarlo d'urgenza, nella speranza che il suo lavoro evitasse la meritata sconfitta elettorale: "cabina di regia", "tridente" e "chi prende più voti nella coalizione diventa il premier" avevano già fatto i danni che sappiamo. Al ministro non erano state risparmiate nemmeno pesanti accuse per la mancanza di una "politica sociale" che non si capiva bene cosa fosse e che per lo più faceva emergere richieste di tutele stipendiali per gli oltre tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici, tra i quali An e Udc raccolgono cospicui consensi elettorali, specie nel centro Italia. Come se le finanze pubbliche avessero potuto sopportare nuovi aggravi senza una corrispondente ulteriore pressione fiscale.
Cosa che invece hanno fatto Prodi e Padoa Schioppa con i risultati economici ed elettorali che tutti conosciamo.
Adesso che non c'è più grasso che cola, adesso che tutti hanno capito che siamo un Paese troppo piccolo per mantenere un personale pubblico così numeroso, adesso sembra finita. Ma solo in apparenza perché, per fare un esempio rimanendo nel pubblico, le manovre per ridurre gli esuberi in Alitalia non sono affatto finite e provengono anche dal centrodestra, che in Alitalia in questi anni ha sistemato migliaia di persone, come prima ha fatto la sinistra. Così, dai censiti settemila esuberi si è passati in pochi giorni ad appena tremila e cinquecento, destinati a ridursi ancora. A prescindere dal numero, però, tutti verranno sistemati nel settore pubblico. Perciò pagheranno i contribuenti e su questo, purtroppo, hanno ragione le sinistre, che ultimamente hanno soltanto questo demagogico argomento, graziosamente fornito dal centrodestra.
Anche altri da destra attaccano Tremonti: i leghisti "durissimi" del Partito Nazionale Veneto lo accusano addirittura di essere il "nuovo grande segretario del Partito Comunista Conservatore" perché nel suo libro "
La Paura e la Speranza", già best-seller prima delle elezioni di aprile 2008 ha descritto la crisi del capitalismo di cui gli Usa sono l'epicentro.
Tremonti, temerario, si è spinto a criticare la globalizzazione e la speculazione mercatista, il libero mercato, la penetrazione di Cina e India nelle economie occidentali che non vogliono adottare politiche protezionistiche: "
Il dragone cinese possiederà l'Europa", "
la Ue è solo burocrazia" scrive categorico. Per una curiosa inversione storica e ideologica, anche la sinistra lo critica ferocemente per difendere il capitalismo, suo ex nemico storico e sua ragione d'essere: il Riformista dell'8 marzo 2008 si spinge a difendere la globalizzazione, il mercato libero e tutti gli altri frutti del capitalismo, titolando "
A noi piace la modernità a Tremonti no", con lodi sul riformismo laburista, socialista e socialdemocratico. Il vuoto assoluto di queste argomentazioni di fronte alla realtà di questi anni spiega le ripetute batoste della parolaia "sinistra plurale".
Tremonti in realtà non è personaggio di poco conto, né è un semplice tecnico, come in apparenza sembra. Ha imparato l'arte della politica e la usa meglio dei vecchi politici. Entrato in politica da socialista, egli non è neanche un vero economista ma un avvocato fiscalista titolare di un famoso studio milanese capace di salvare grosse società accusate di evasione o di comportamenti elusivi. Da tempo nei dibattiti evita di dilungarsi in spiegazioni tecniche o di snocciolare noiose cifre, spesso incomprensibili. Adesso usa le armi tipiche del politichese: tempo fa a Bertinotti ha fatto fare in tv una pessima figura, ricordandogli che è stato il governo Prodi a varare la legge che esenta da una più giusta tassazione le banche e i titolari di rendite finanziarie, concedendo nel contempo ai grossi imprenditori un taglio dell'aliquota dal 51 al 44 per cento, ben sette punti. "
Quando si fa parte di una coalizione" ha replicato il Parolaio Rosso "
si è costretti a fare cose che vanno anche contro i nostri principi". "
Certo, capita in politica" ha risposto Tremonti, "
anche di scordare quello che si è fatto, addossando agli avversari le proprie responsabilità". In questi giorni a Bersani che lo contestava nella commissione intercamerale che segue la vicenda Alitalia ha chiesto come mai, pur avendo tutti quei meravigliosi progetti che andava elencando, non li avesse adottati nei ventidue mesi in cui era al governo.
Insomma, non è un tipo facilmente catalogabile. Adopera ancora metafore ardite e catalogazioni nette, ma ha imparato l'arte di non cadere nel tecnicismo indigesto.
È anche contraddittorio: appena ieri prediceva una nuova crisi mondiale tipo 1929, mentre oggi dice che l'economia europea, al contrario di quella americana, è solida e forte. Parlava anche di "ingegneria finanziaria" e di libero mercato, mentre con lui al governo aumentava la spesa pubblica e crollavano Cirio e Parmalat. Ieri sosteneva che nessun governo può controllare le speculazioni sui generi di largo consumo perché va garantita la libertà di mercato, oggi parla di "mercatismo" con disprezzo e sostiene la necessità di uno Stato "forte" capace di controllare con energia gli aumenti ingiustificati dei prezzi e le rapine del sistema bancario-finanziario.
So che molti tra i lettori di Excalibur sostengono da lungo tempo la necessità di adottare politiche di contenimento della globalizzazione selvaggia e hanno più di un motivo ideologico per schierarsi contro il "mercatismo", contro l'Europa dei Mercanti e dei burocrati, contro uno Stato incapace, per stupido e dannoso conformismo capitalistico occidentale, di assumere provvedimenti contro la concorrenza delle "economie criminali" asiatiche, come da tempo le definiamo noi della moderna destra e come hanno preso a definirle anche molti economisti.
La sua manovra d'estate, infine, ha poco di "innovativo". Per gli aspetti positivi: elimina alcuni burocratismi quali gli adempimenti sulla privacy, sull'uso del contante (stavano per vietarlo del tutto!), sulla semplificazione amministrativa per l'inizio attività delle imprese. Gli aspetti negativi non mancano: vengono meno le agevolazioni fiscali per le stock option ai lavoratori, sono appesantiti gli accertamenti in base al redditometro e sugli assurdi studi di settore, aumentano gli oneri derivanti dall'adesione ai verbali di constatazione (veri verbali capestro), si concedono garanzie - e come sarebbe altrimenti, con l'Italia al collasso? - per la rateizzazione dei ruoli esattoriali. Pochissimo sul sostegno alle pensioni, al lavoro dipendente e autonomo, nulla per il rilancio dell'asfittica economia che avrebbe bisogno di una riduzione della pressione fiscale e di investimenti statali per rilanciare le imprese e i consumi. Ma tutto questo non è possibile, almeno fino a quando la spesa pubblica non verrà tagliata con coraggio, virtù che manca sia a sinistra sia a destra.
Quindi, che cosa ha detto di nuovo Giulio Tremonti per le nostre orecchie?
Poco per noi, ma molto per gli altri. Sembrano davvero lontani i tempi in cui eravamo gli unici, davvero gli unici, a batterci contro questa Europa che non ha anima politica, ideologica e religiosa, che non ha un esercito e non ha un governo, che assorbe larghe fette di sovranità degli Stati ma che ancora non è un Super Stato e nemmeno vuole dotarsi degli strumenti indispensabili di sovranità di un Piccolo Stato. Noi che eravamo gli unici a detestare l'operato delle migliaia di burocrati europei del Coreper A e del Coreper B, mostri amministrativi che sfornano continue e inutili norme atte soltanto a ingessare assurdamente imprese e istituzioni europee in uno scenario planetario che segue le uniche regole del profitto e dello sfruttamento.
A noi che contestiamo questa Europa che porta ancora il vizio originale del mercato del "carbone e dell'acciaio", che impone strutture e regole inconcludenti senza che i cittadini siano mai stati chiamati a pronunciarsi, ebbene Tremonti a noi ha detto poco.
Però Tremonti e altri come lui, provenienti da diaspore diverse e lontane, ci hanno fatto capire o ci hanno rafforzati nell'idea secondo la quale non sempre quelle che sembrano battaglie perse o isolate rimangono tali.
Forse davvero sta nascendo una nuova destra, certamente non grazie a Tremonti, capace di raccogliere un'eredità ideologica e politica che per decenni è rimasta ai margini della storia e della politica ma che oggi è vincente, almeno sul piano delle idee.