La questione acqua nell'isola
Critiche e linee di risoluzione di uno dei problemi più scottanti
di Beppe Caredda
Sembra paradossale che in un periodo di cosi prolungata e ricorrente scarsezza di precipitazioni ci si debba occupare di realizzare opere e interventi per proteggere la popolazione e il territorio dall'azione selvaggia delle acque. Decine e decine di miliardi impegnati dalla Regione per fronteggiare gli effetti delle alluvioni. Ma non è un paradosso, il fatto è che le alluvioni sono l'altra faccia della medaglia: il clima, soprattutto in questi ultimi venti trent'anni, è caratterizzato sempre più dal manifestarsi di eventi estremi, siccità e alluvioni appunto, e noi non siamo attrezzati per far fronte agli effetti di questi eventi.
Il termine che meglio interpreta e definisce la situazione in cui versa il nostro territorio e che, pur diventato di moda, ancora tarda a essere compreso e recepito politicamente, è "desertificazione". Chi credete che voglia restare o venire a investire in un territorio privo di acqua e di suoli fertili?
Ancora non si pone in termini drammatici, ma la guerra per l'acqua è già scoppiata, adesso per fortuna solo politicamente, e le cronache di tutti i giorni lo testimoniano, se mai ce ne fosse bisogno. Le problematiche relative alla cronica mancanza di risorsa idrica disponibile per i diversi usi, il degrado di qualità degli ambienti idrici, lo sfacelo idrogeologico, evidenziano infatti il sostanziale fallimento delle politiche e degli strumenti tecnici fin qui adottati e messi in opera dalla Regione.
L'introduzione di nuove normative più stringenti da parte della Comunità Europea, il consolidarsi di condizioni climatiche estreme, la necessità di qualificare la domanda idrica in funzione delle esigenze, la sostanziale difficoltà di utilizzare le pur non modeste risorse finanziarie oggi disponibili, impongono di prevedere una politica nuova che affronti integralmente il problema nelle sue complessità tecniche, amministrative ed economiche. Gli strumenti adottati ultimamente, come ad esempio le leggi speciali per l'emergenza idrica, vanno attentamente vigilati per evitare che la mancanza di un quadro di riferimento programmatico affidabile possa consentire a gruppi di interessi specifici di inserirsi nel processo decisionale, imponendo scelte non solamente poco trasparenti ma, fatto ancor più grave, poco funzionali alla soluzione delle gravi problematiche gestionali delle risorse idriche. Problematiche, queste ultime, che permangono e sono le stesse di decine di anni fa, ma più gravi: non serve elencarle, basti dire che sono comprese e caratterizzano il generale, diffuso, irrazionale governo della risorsa idrica. La stampa d'altronde ce ne da quotidianamente notizia.
Siamo senza acqua e soluzioni immediate non ne esistono, dissalatori a parte. Stiamo tuttavia correndo ai ripari? Si stanno predisponendo opere e soluzioni tecniche per evitare il peggio? Basterà? Per ora assistiamo solo a interminabili discussioni e confronti; interventi concreti pochi, mentre monta sempre più, nell'opinione pubblica, il pessimismo sulla mancanza di una volontà politica di modifica della attuale struttura gestionale, che è certamente il limite più significativo dei tentativi di pianificazione nei settori idrici, per cui alla fine i piani, le proposte, i disegni di legge elaborati risultano inapplicabili o comunque facilmente etichettabili come astrazioni teoriche.
L'ipotesi lavorativa sulla quale va articolata la moderna pianificazione non può non fondarsi sugli indirizzi, le strategie e gli obblighi che derivano dal recepimento e l'applicazione delle leggi nazionali in materia, prime fra tutte le leggi 183/89 e 36/94. La prima stabilisce criteri e finalità per la difesa e il riassetto del territorio, la seconda impone alcuni princìpi fondamentali che costringono a una profonda revisione di tutta l'organizzazione del servizio idrico. Entrambe a tutt'oggi, per buona parte, di fatto inapplicate. Ma qualcosa si muove, chissa...
Eppure è nella coscienza di tutti che vi sono alcuni primari obiettivi necessariamente da perseguire:
- adottare una politica ambientale sostenibile nell'ambito dello sfruttamento delle risorse idriche; il che significa rendere compatibili le necessità di uso con il raggiungimento di livelli qualitativi accettabili delle risorse disponibili, identificando le soluzioni economicamente più efficaci e socialmente compatibili per la ripartizione della risorsa. In particolare l'azione di governo va spostata sulla manutenzione dei corsi d'acqua, dei boschi e dei versanti, che rappresenta una delle più grandi e convenienti opere pubbliche del paese per i suoi effetti economici e occupazionali;
- attuare l'integrazione del ciclo dell'acqua con l'affidamento a uniche strutture operative della gestione dei sistemi di approvvigionamento e distribuzione delle risorse idriche, delle reti di distribuzione e smaltimento delle acque reflue, degli impianti di depurazione, il cui mancato funzionamento è una delle cause del degrado qualitativo dei corpi idrici;
- avviare politiche gestionali che tendano al risparmio idrico e al riciclo delle acque, sia in campo industriale che agricolo; tali politiche devono essere supportate da analisi economicamente convincenti sulla loro validità per il raggiungimento degli obiettivi logicamente contrastanti, fra raggiungimento del livello di servizio, contenimento dei consumi energetici e miglioramenti degli standard qualitativi, compresi quelli ambientali che devono consentire l'incremento dell'uso paesaggistico degli ambienti idrici.
Tutto ciò può essere raggiunto dando pratica e definitiva attuazione alle leggi che prima ho citato, ma ci vuole tempo e soprattutto convinzione politica e capacità decisionale.
Inoltre sono tutti da valutare gli effetti che i cambiamenti climatici possono avere sulla disponibilità di risorse idriche. Scenari climatici caratterizzati dall'inasprirsi dei fenomeni estremi pongono serie incognite sulle possibilità future di soddisfare la domanda d'acqua e potrebbero imporre, ma è già così, una drastica rimodulazione delle quantità esistenti a favore dei soli usi primari; e l'agricoltura, l'industria?
Che fare? Servono nuove infrastrutture, nuove dighe? La scarsità degli approvvigionamenti idrici può essere in primo luogo rappresentata come un problema infrastrutturale. Essa sarebbe da attribuire, in buona sostanza, alla inadeguatezza strutturale delle reti idriche, con l'implicita ammissione che una appropriata serie di interventi rappresenterebbe la soluzione del problema. Questo modo di impostare le cose è senza dubbio quello più tradizionale e condiviso per lungo tempo dagli esperti del settore. Ma questa strategia, intuiamo malignamente, ha potuto storicamente contare su un'oggettiva alleanza fra costruttori, gestori e sistema di pianificazione, perché negarlo?
La possibilità di realizzare nuovi invasi tuttavia non sempre è garantita dal punto di vista tecnico e ambientale e incontra costi crescenti sia in termini di infrastrutture necessarie, sia in termini di valori alternativi sacrificati. A tutt'oggi, tanto per citare un esempio, non è ancora definita e risolta la questione della diga di Monte Nieddu. Dal punto di vista tecnico non disponiamo più di siti favorevoli per grandi opere d'invaso e comunque, quand'anche fattibile, l'opera andrebbe incontro a costi crescenti che renderebbero estremamente elevato quello del "metro cubo" d'acqua ottenibile. Si calcola che il costo per metro cubo d'acqua di un grande schema idrico può essere oggi anche cento volte superiore a quello di qualche decennio fa. In ogni caso la realizzazione di un invaso comporta sostanziali alterazioni dell'equilibrio ambientale che non lasciano di certo indifferenti le comunità locali coinvolte, vedi l'esempio del Flumendosa. E poi c'è da tenere conto della qualità dell'acqua invasata, ovvero del trattamento e della potabilizzazione. Infine il periodico mancato riempimento degli invasi esistenti fa quantomeno riflettere sul fatto che probabilmente non rappresentano l'unica risposta all'esigenza di disporre della risorsa idrica.
La politica delle strutture non rappresenta quindi l'unica opzione di intervento, anche se continuerà a giocare un ruolo importante assieme a una seria politica della domanda e della gestione delle risorse idriche, così come certamente bisognerà migliorare l'efficienza delle reti di distribuzione.
Soprattutto però si dovrà sempre più spesso fare affidamento sulle cosiddette fonti non convenzionali: vogliamo parlare dei dissalatori? Io dico che non è necessario, ma che si aspetta? Chi vivrà vedrà, possibilmente prima che si realizzi il collegamento idrico con la Corsica o che si dia fondo alle risorse sotterranee. Povera Sardegna!