Anticomunismo? Sì, ma non solo
di Paolo Cossu
Ci siamo nutriti d'anticomunismo fin dalla prima adolescenza; l'abbiamo propagandato in mille occasioni; l'abbiamo praticato in modo "militante" e ne abbiamo pagato il duro prezzo e le amare conseguenze.
Molti di noi sono arrivati a destra in quanto "anticomunisti"; solo a pochi è accaduto il contrario, cioè essere prima di destra e poi anticomunisti.
Ieri la nostra politica quotidiana, era impregnata di anticomunismo. Oggi, bisogna ammetterlo, non è più così!
Sarà perché la contrapposizione politica è più soft, sarà per il crollo dei molti muri eretti, non solo fra le due Germanie, ma anche nei confronti dei nostro mondo, sarà per la maggiore agibilità politica di cui oggi indiscutibilmente godiamo, sarà per quello che volete... ma di fatto, oggi, l'anticomunismo non è più così presente nella nostra attività politica come lo era dieci, venti o cinquanta anni fa.
Oggi non accusiamo il governo di essere comunista; l'accusiamo di connubio con i poteri forti della finanza e dell'economia, l'accusiamo di non fare nulla per dare lavoro ai disoccupati e ai non garantiti, l'accusiamo di una politica fiscale iniqua e vessatoria, l'accusiamo di lottizzare ed egemonizzare la cultura, la politica, l'informazione, l'accusiamo di tante altre cose ancora... ma non l'accusiamo d'essere comunista!
Diverso è invece il discorso sul piano storico-culturale; in quel campo soffriamo ancora di una ghettizzazione non più tollerabile e che dobbiamo assolutamente contrastare.
Ciò accade anche perché il nostro livello d'organizzazione culturale è veramente ridicolo.
Non abbiamo testi di storia o di filosofia da far adottare nelle scuole; non abbiamo case editrici degne di questo nome, e quelle che ci sono vengono ignorate se non addirittura osteggiate; non abbiamo una rete organica di diffusione editoriale-culturale, attraverso librerie, circuiti culturali, associazioni; non abbiamo strutture di studio, di ricerca, di formazione: tutto è lasciato alla buona volontà dei singoli, all'improvvisazione.
Sono queste le grandi sfide che dobbiamo lanciare e che non possiamo più rimandare; al di là delle singole appartenenze ai partiti, chi si riconosce nell'area "nazionalpopolare", ha il dovere politico di sfruttare le possibilità e gli spazi che si sono aperti oggi per le nostre idee, per la nostra cultura, per i nostri valori.
Non ci sono più alibi per nessuno: chi non percepisce l'importanza di incidere culturalmente nelle idee, nei costumi, nelle abitudini della gente, è destinato inevitabilmente a scomparire.
Noi invece vogliamo essere vivi.