Gas, bene sempre più prezioso
La situazione, da allora, non è cambiata di molto, benché, all'evidenza, la domanda di gas fosse destinata a crescere in maniera esponenziale e a venire favorita dalle politiche di minore inquinamento scelte dai governi, dal minore costo del gas, il cui prezzo (all'epoca) cresceva meno rispetto a quello del petrolio, dalle nuove applicazioni nel settore dei trasporti (dove i sistemi più innovativi facevano prevedere una forte domanda di gas) e dalla trasformazione graduale delle centrali a carbone in centrali a ciclo combinato con l'utilizzo del gas.
Quindi era chiaro che il fabbisogno energetico non potesse essere soddisfatto solo attraverso i gasdotti, peraltro spesso troppo costosi. Per tale ragione, si riteneva che i terminali metaniferi non solo fossero importanti per alcune zone, ma rappresentassero, di volta in volta, strutture di supporto e complemento ai gasdotti ovvero alternative economiche più vantaggiose. Si pensava che la Sardegna potesse assumere un ruolo strategico come secondo polo italiano del gas, realizzato e gestito da soggetti indipendenti rispetto ai grandi gruppi titolari di posizioni monopolistiche nel settore. Inoltre, nell'ottica di sicurezza degli approvvigionamenti, l'Isola era in grado di aprire le porte ai fondi comunitari, in quanto si trattava di finanziare dei terminali metaniferi d'interesse per la sicurezza energetica dell'Europa.
A prescindere dalle implicazioni internazionali, era evidente come per la Sardegna la metanizzazione non solo fosse un discorso di equità e di equiparazione energetica al resto dell'Italia ma anche e soprattutto una componente fondamentale delle proprie strategie di sviluppo economico e sociale, in quanto il metano è un importante elemento costitutivo dell'ambiente, forse l'unica vera risorsa su cui la nostra Isola potrebbe puntare per costruire il proprio processo di sviluppo.
Il discorso sul metano e sul sistema di approvvigionamento, pertanto, non avrebbe dovuto prendere le mosse dalla disponibilità o meno nell'Isola di energia (e quindi di centrali termoelettriche presenti a fronte dei fabbisogni di energia attuali e futuri), ma si sarebbe dovuto basare sulla previsione normativa che statuiva la realizzazione di un programma di metanizzazione nell'Isola idoneo a recepire istanze di natura ben più ampia e complessa che non trovavano adeguato spazio in un dibattito troppo spesso incentrato sul sistema tecnico-ingegneristico di approvvigionamento e sulla valutazione della sua economicità in termini astratti.
Inoltre, la disponibilità del metano nell'Isola doveva essere svincolata dalla limitata nicchia dei consumi civili (circa 400 milioni di mc/anno), che sarebbero i destinatari diretti del gas naturale, per coinvolgere l'alimentazione di alcune centrali termoelettriche e turbogas esistenti nell'Isola e, in particolare, prendendo in considerazione la possibilità di utilizzare il metano nella produzione di energia elettrica, alimentando tra l'altro le centrali di Fiumesanto e le due vecchie centrali di Portovesme (ex Efim e Repowering).
Negli studi dell'epoca, si ipotizzava un consumo di metano di oltre 2 miliardi di mc/anno, soglia che, in tutti i casi, appariva economica per la realizzazione del programma.