EXCALIBUR 136 - gennaio 2022
in questo numero

"Fermare Pechino" di Federico Rampini

Un altro grande saggio del giornalista e scrittore "nomade globale"

di Angelo Marongiu
'Fermare Pechino' di Federico Rampini (ed. Mondadori, 2021)
Sopra: "Fermare Pechino" di Federico Rampini
(ed. Mondadori, 2021)
Sotto: una bandiera che ormai sventola in ogni
parte del mondo
una bandiera che ormai sventola in ogni parte del mondo
Federico Rampini, nel suo ultimo volume, è ritornato su uno dei suoi argomenti preferiti: la Cina.
Inviato e corrispondente estero a Parigi, Bruxelles, San Francisco e soprattutto Pechino, Rampini, dopo il best seller "Il secolo cinese" del 2005 e poi "La seconda guerra fredda", "Oriente Occidente", si immerge nuovamente nel gorgo tumultuoso dei rapporti tra Oriente e mondo occidentale. Quest'ultimo volume è già programmatico nel titolo: "Fermare Pechino. Capire la Cina per salvare l'Occidente".
La sua tesi di fondo, espressa anche nelle precedenti opere sulla Cina, è che quel paese non è affatto una potenza pacifica. Certo, i suoi modi sono sempre pacati e sembra sempre non alzare mai la voce con i suoi atteggiamenti moderati, ma la sua arroganza nei rapporti con gli altri paesi, se ben letta, è sempre più evidente. Ne sono testimonianza le azioni nei confronti del Tibet, nella repressione dei movimenti di Hong Kong (ignorando gli accordi sottoscritti a suo tempo con la Gran Bretagna) e nella sua sempre più ossessiva presenza su Taiwan.
È una faccia della Cina molto inquietante, neanche troppo nascosta, che comunque l'élite occidentale ha deciso di non vedere.
Nel suo libro Rampini cerca di spiegare perché solo cercando di comprendere la Cina e facendo nostre alcune sue virtù, possiamo salvare il mondo occidentale da una sempre più probabile egemonia cinese.
Il titolo del libro è un invito all'ottimismo, anche se Rampini appare scettico sulla possibilità di fermare Pechino.
Sottolinea come nel lunghissimo periodo questa è un'impresa impossibile. La Cina, con il suo miliardo e 400 milioni di abitanti è la nazione più popolosa del mondo, è erede di una civiltà che ha 3.500 anni di storia, per decine di secoli la sua civiltà è stata la più ricca e la più avanzata del mondo.
Ma nel breve periodo, nei suoi ultimi 100 anni che praticamente coincidono con la caduta dell'impero e la Cina comunista di Mao e post Mao, ha vissuto crisi violente di instabilità, dalla Rivoluzione culturale a Piazza Tienanmen.
Ma per poter contenere il danno che la sua politica economica e il suo progetto egemonico ed espansivo può arrecarci, è necessario conoscerla e puntare sulle sue eventuali debolezze.
Rampini sottolinea la palese ignoranza degli occidentali sulla Cina, poiché continuiamo a fermarci alle apparenze e agli stereotipi, positivi e negativi, che su di essa ci siamo creati.
Un'ulteriore difficoltà è data dal nuovo corso impresso da Xi Jinping dopo la riforma costituzionale che ha abolito il limite dei due mandati presidenziali.
La Cina di Xi si è come ripiegata su sé stesa, è diventata meno trasparente, è volutamente indecifrabile.
L'ultimo summit di Glasgow sull'emergenza climatica è un esempio e un capolavoro di ambiguità.
Nessuna presenza di personalità cinesi di spicco, tanto meno di Xi, così come al G20 di Roma; nessuna accettazione di precisi impegni sul clima o su altri temi e poi, l'ultimo giorno, a sorpresa, una "dichiarazione congiunta" per un impegno con gli Stati Uniti per il rafforzamento dell'azione climatica nella quale ci si impegna a fronteggiare congiuntamente le emergenze del mondo.
Un proclama che ha aperto il cuore di Boris Johnson all'ottimismo sfrenato, ma che in realtà non significa niente. In pratica la Cina non ha assunto alcun impegno.
Così come il famoso protocollo di Kyoto del 1997, firmato dalla Cina, firmato ma non ratificato dagli Stati Uniti (insultati e vilipesi da tutto il mondo) ed entrati in vigore solo nel 2005 dopo la ratifica della Russia: nella realtà gli Stati Uniti hanno ridotto le loro emissioni nocive e la Cina ha continuato ad aumentarle, disattendendo ogni impegno.
La sfida tra Cina e Stati Uniti in particolare (come sempre la presenza dell'Europa in questa arena è assolutamente irrilevante) vive poi su paradossi estremi.
L'Occidente - e qui comprendiamo anche l'Europa - parte da una posizione di estrema debolezza. Noi viviamo ormai lunghi anni nei quali assistiamo alla demolizione collettiva della nostra identità e autostima.
Gli Stati Uniti, dopo l'elezione di Biden, vivono profondamente questa lacerazione. A destra c'è chi considera Biden un usurpatore, un presidente illegittimo e un estremista socialista. Ma a sinistra l'establishment radical chic, che ha il predominio della cultura e dei media, considera l'America l'impero del male, l'inferno del razzismo, della xenofobia, del maschilismo, il centro di ogni discriminazione.
La Cina contrappone a tutto ciò un culto granitico della sua nazione e della sua civiltà; una saldezza ideologica nutrita dall'autostima forsennata garantita dall'etnia predominante, quella degli Han, che coinvolge il 90% della popolazione.
Eppure il razzismo esiste anche in Cina e Rampini lo documenta raccontando delle discriminazioni e dell'isolamento patito a Pechino dai suoi tre figli adottivi di etnia diversa da quella degli Han. La loro pelle leggermente più scura e gli occhi a mandorla sono un elemento discriminante.
Ma nessuna di queste manifestazioni traspare certamente all'interno del paese; all'esterno della Cina al massimo se ne prende atto e qualunque tentativo di stigmatizzarle, come le denunce sul trattamento della minoranza islamica degli Uiguri, cade decisamente nell'indifferenza.
Ricordando i Trenta Tiranni del periodo della feroce contrapposizione tra Atene e Sparta, Rampini mette in evidenza le azioni e l'influenza esercitata in Occidente dalle grandi società del capitalismo americano: Apple e Goldman Sachs, Boeing e General Motors e la grande industria tedesca hanno fatto affari d'oro con Pechino e questa oligarchia, come quella dei Trenta Tiranni, cura in maggior misura i propri interessi piuttosto che quelli dello Stato.
Anche il rapporto dei due mondi con le Big Tech è diverso. Quando la Cina si è accorta che uno dei suoi colossi digitali, il gruppo Alibaba-Ant-Alipay, che gestiva grazie a delle app su smartphone pagamenti, prestiti e investimenti superiori al Pil del paese, creando grazie alla rivoluzione tecnologica una specie di superbanca, è immediatamente corsa ai ripari: Jack Ma è sparito per un po' di tempo e quando è riapparso si è trovato di fronte a nuovi limiti e nuove regole che ne hanno ridimensionato le ambizioni.
Negli Stati Uniti i colossi come Amazon, Facebook, Apple, Google, Microsoft, Netflix vivono indisturbati: piegare questi colossi è praticamente impossibile, considerando anche l'aiuto che hanno offerto a Biden per vincere le elezioni presidenziali.
E infine c'è un altro punto fondamentale per avere una chiara visione della Cina, un punto che è un valore per molta parte dell'Oriente. Non è lo stereotipo del dispotismo e dell'autoritarismo.
Il valore dell'Oriente sul quale dovremmo riflettere è quello offerto dal Confucianesimo. È una visione del mondo fatta propria da paesi democratici come il Giappone, la Corea del sud e Taiwan, ma anche autoritari come il Vietnam e appunto la Cina.
A fronte di un Occidente nel quale prospera l'Età dell'Io, l'egocentrismo, il narcisismo, l'annullamento di ogni radice religiosa, dove esistono solo diritti e i doveri sono sfumati, dove il desiderio si trasforma in necessità, si contrappone un insieme di nazioni orientali che - in linea con l'etica del confucianesimo - pongono al centro delle loro azioni il bene comune che annulla l'individualismo esasperato.
È possibile, anche se estremamente improbabile, che questa competizione degeneri in uno scontro militare. E in un mondo che - dilaniato da una incessante pandemia - ha visto sia la Cina che gli Stati Uniti emergere più forti, con l'Europa come sempre terra di conquista, la resa dei conti tra queste due nazioni sarà una sfida affascinante e speriamo non inquietante o drammatica.
Sono comunque due nazioni che hanno in mano il nostro futuro.
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