EXCALIBUR 125 - febbraio 2021
nello Speciale...

La Giudicessa Benedetta "prigioniera"

la 'Jizya', obolo che i 'credenti del libro' dovevano versare ai musulmani
un matrimonio di regnanti
Sopra: la "Jizya", obolo che i "credenti del libro" dovevano
versare ai musulmani, e un matrimonio di regnanti
Sotto: scena medioevale di seduzione e la "Carta de Logu"
promulgata da Eleonora d'Arborea il 14 aprile 1392,
versione aggiornata della Carta emanata dal padre
Mariano IV
scena medioevale di seduzione
la 'Carta de Logu' promulgata da Eleonora d'Arborea il 14 aprile 1392, versione aggiornata della Carta emanata dal padre Mariano IV
Morto nel 1214 il Giudice Guglielmo I di Massa e salita al trono la figlia Benedetta, le pressioni pisane si fecero stringenti. Durante il suo regno, Guglielmo aveva allargato la sua influenza sugli altri Giudicati sardi con azioni militari. Aveva portato la guerra nel lontano Giudicato di Torres e in quello di Arborea, dove aveva imprigionato il Giudice Pietro I e il figlio Barisone (detto anche Parasone). Intraprese quindi una politica matrimoniale per le sue figlie, conoscendo bene i meccanismi successori dei Giudicati. Benedetta fu promessa in sposa a Barisone, Agnese a Mariano II di Torres, Preziosa a Ugone I di Arborea, col quale convolò a nozze. Tentò infine di far sposare la Giudicessa Elena di Gallura con un suo fedele pisano, ma Elena lo precedette sposando Lamberto Visconti.
Finalmente eletta nel 1214 la ventenne e ancora nubile Benedetta, la giudicessa, come da tradizione, prestò giuramento alla Corona di non cedere a nessuno i beni patrimoniali del Giudicato, né di alienare parti dello stesso. Si dichiarò vassalla della Chiesa di Roma, sposando infine Barisone, pretendente al Giudicato di Arborea. Il matrimonio fu breve, perché Barisone spirò nel 1217. Nel 1215 era frattanto avvenuto lo sbarco a Cagliari di un grande esercito pisano comandato da Lamberto Visconti, ormai divenuto giudice di Gallura, che rivendicava con la forza il possesso pisano della collina sovrastante il colle di Santa Igia, ove ben presto fece edificare il Castel di Castro. Le forze giudicali non furono in grado di fermare i Pisani, che si impadronirono anche di diverse zone intorno alla città.
Benedetta, praticamente prigioniera degli stranieri, tentò in molti modi di reagire al sopruso, ricorrendo all'aiuto possente del Papa Onorio III, il quale cercò l'appoggio dei Visconti di Milano e di Genova, ma fu tutto inutile. La giudicessa nella sua lettera al Papa, ancora conservata negli Archivi Vaticani, si lamentava delle violenze subite da lei, giudicessa eletta secondo la legge. Dichiarava inoltre di aver prestato giuramento nelle mani del Vescovo cagliaritano, alla presenza dei liberi mayorales e dei prelati (la Corona), di conservare integro il regno e di osservare fedeltà al Papa romano.
Spiegava che l'investitura regale si era completata con la consegna a sue mani del bacolo regale, lo scettro simbolo dell'autorità sul Giudicato e infine informava sulle lusinghe rivoltele da Lamberto e le sue minacce di effettuare ritorsioni violente su lei e i suoi sudditi. Parlò anche di violenza al suo onore e della vergogna che provava per aver tradito il giuramento prestato alla Corona. La lettera, trasmessa di nascosto, perché Benedetta era sotto stretta sorveglianza dei Pisani, provocò nel Papa un forte sdegno che però non risolse l'occupazione pisana. Vista l'inutilità delle sue proteste, Benedetta, rimasta vedova di Barisone, accettò infine la richiesta di Lamberto Visconti, anche lui rimasto vedovo di Elena di Gallura, sposandolo nel 1220. Il matrimonio durò quattro anni, finché Benedetta, nuovamente vedova, si sposò una terza volta nel 1224 con Enrico di Ceola e infine contrasse il suo quarto matrimonio con Rinaldo de Glandis. Lasciato il Giudicato per trasferirsi a Massa, città d'origine della sua famiglia, lì si spense nel 1233, all'età di trentanove anni. Le successero nel Giudicato il figlio Guglielmo II Salusio V dal 1233 al 1254 e il nipote Giovanni Torchitorio V dal 1254 al 1256.
Nei Giudicati sardi le donne erano protette nei loro diritti da una legislazione all'avanguardia. La migliore testimonianza ce la offre la Carta de Logu della Giudicessa Eleonora d'Arborea, nella quale sono dettagliati i loro diritti e le punizioni riservate a chi non le rispettava. Potevano divorziare ed erano libere di scegliersi l'uomo. Potevano persino rifiutare il matrimonio "riparatore" se non accettavano l'uomo che le aveva violentate. E nella società civile godevano della comprensione e del pieno rispetto. Potevano godere dei diritti ereditari così come potevano possedere beni e servi. La moglie del Giudice era considerata, più che la sposa, come la giudicessa portatrice del relativo titolo. Poteva persino essere eletta Giudice, perciò sovrana del Giudicato, e trasmettere il titolo agli eredi.
La giudicessa Benedetta, in fondo, fu solo una donna sfortunata, perché si trovò ad affrontare un'aggressione militare che le tolse la possibilità di conservare il Giudicato e ogni reazione di carattere militare.
Fonti:
- "La Sardegna giudicale", di Francesco Cesare Casula, Arti Grafiche Chiarella, Sassari 1990;
- "Fra Santa Igia e il Castro Novo Montis de Castro. La questione giuridica urbanistica a Cagliari all'inizio del XIII secolo", di Corrado Zedda e Raimondo Pinna, Archivio Storico Giuridico Sardo di Sassari (distribuito anche in formato digitale da www.retimedievali.it).
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