Sopra: una moneta punica con busto di cavallo e una con la
dea Tanit, la Demetra greca, con sul retro un equino
Sotto: sposi sardi mostrano orgogliosamente la loro
condizione di uomini liberi, la daga esibita nelle foto è
molto simile a quella che utilizzavano i legionari romani; a
destra un piccolo "guerriero" di Cossoine (SS) esibisce il
lungo fucile col quale i padri insegnavano ai piccoli ad
abituarsi alla vita nelle campagne e nei boschi, dove c'era
molta cacciagione ma anche molti pericoli
I militi sardi erano uomini liberi, abituati a vivere nelle campagne e nei vasti boschi isolani, dove imparavano fin da piccoli l'uso delle armi per la caccia e per difendersi. Portavano sempre con sé le armi, anche durante il lavoro agricolo, come attesta un cronista arabo di quel periodo: «
uomini sempre con l'arma al piede"».
In combattimento utilizzavano la verga sardisca, un giavellotto non lungo ma micidiale per la sua cuspide stretta capace di penetrare gli scudi avversari. Utilizzavano inoltre un efficace arco lungo e la daga, di origine romana, molto pericolosa per i nemici nel combattimento ravvicinato.
È probabile che la tecnica d'uso fosse quella romana, che non veniva calata dall'alto ma mirava al ventre dell'avversario, con esiti mortali. Di quest'arma i Sardi hanno conservato l'utilizzo fino ai tempi moderni, come si vede nelle rare fotografie dell'Ottocento.
Nel periodo giudicale sardo esisteva di certo una "industria" delle armi diffusa nei territori, perché sono attestate esportazioni di verga sardisca a Genova, mentre con l'introduzione delle armi da fuoco era attiva a Tempio una fabbrica di fucili a canna lunga, come quelli che si vedono ancora oggi nelle sfilate "militari" della sagra di Sant'Efisio a Cagliari.
Ma le incursioni saracene non si arrestarono. Nel 753 gli Arabi riuscirono a imporre ai Sardi persino la "Jizya", mantenendo il controllo di vaste zone e imponendo il tributo di sottomissione, sembra per qualche decennio. Ma di fronte a una pericolosa nuova incursione araba, nel 1015 i Sardi chiamarono Pisa e Genova in loro aiuto. Fu da quel momento che le due città guardarono con interesse alla Sardegna giudicale, ricca di bestiame, prodotti agricoli e miniere. Cominciò così la lenta penetrazione nei territori giudicali, prima commerciale e pacifica, poi più spregiudicata. Favoriti dal clero continentale che nell'isola aveva radici, ottennero concessioni che col tempo gli permisero di impadronirsi dei Giudicati, eccetto quello di Arborea, che li contrastò a lungo.
L'acquisizione di diritti patrimoniali in favore di Pisa ebbe una vicenda travagliata che si trascinò per decenni, anche dopo la scomparsa di Benedetta. Tutto iniziò per una disputa giuridica sul possesso di terreni assegnati all'antica basilica di San Saturno di Cagliari, esistenti intorno a un colle cagliaritano che dominava la città giudicale. Quel territorio era stato ceduto dal giudice Guglielmo, padre di Benedetta, ai monaci che appartenevano all'ordine di San Vittore di Marsiglia.
Non sembra chiaro quali fossero i termini della "cessione" e quali fossero i poteri di giurisdizione su terre e uomini del "Rennu" che vi abitavano. Invece è molto chiara la sequela di atti giuridici che permisero alla repubblica pisana di poter vantare diritti patrimoniali sovrani su quelle terre, soprattutto grazie alle ricerche effettuate da Corrado Zedda e Raimondo Pinna (cfr. nota a margine) negli archivi dell'abbazia di San Vittore di Marsiglia, su quelli vaticani e su altri della Penisola. In sintesi, questo avvenne grazie allo stesso priore marsigliese, il pisano Rocelin, che era anche Visconte della città di Marsiglia, all'epoca alleata della Res Publica di Pisa.
Pur essendo arduo riassumere qui il percorso giuridico che coinvolgeva quei terreni, contesi tra Pisa e il Giudicato, si può concludere che i Pisani conseguirono una prima vittoria giudiziaria già contro il Giudice Guglielmo. Forti di questo, Pisa accelerò le procedure per trasformare la donazione nel perfetto strumento giuridico che le permise di rivendicare il pieno diritto di occupare quelle terre e conservarle, infine, anche con la forza.
D'altra parte, di fronte ai Pisani non si trovava più una vera forza giudicale capace di fermarli. Guglielmo di Massa era stato sconfitto nel 1213 nella battaglia del fiume Frigido, a un miglio da Massa, da truppe di Lucca e della fazione dei Visconti ostile a Gugliemo.
Per Benedetta, poi, non era possibile contrapporsi al forte esercito pisano sbarcato qualche anno dopo a Cagliari. Pisa era una potenza militare temuta anche da Genova, che riuscì a ridimensionarne la forza soltanto nel 1284 nella battaglia navale della Meloria, peraltro senza riuscire a intaccare i suoi domini in Sardegna.