Lotta contro i Romani (D. Bruschi, Palazzo Vice Regio di
Cagliari)
Assai importante, ai fini dell'elaborazione di questi concetti, è stata l'analisi di Michelangelo Pira, intellettuale originario di Bitti. Con la sua opera, purtroppo prematuramente interrotta, è stato in grado di collegare la riflessione antropologica alla storia e questa all'azione politica per il rilancio dell'autonomia e la rinascita della Sardegna. Pira era convinto che la conquista di una forma alta ed efficace di autonomia non si potesse realizzare in Sardegna senza lo sviluppo, accanto alle lotte politiche e sociali, di un'azione culturale di ampio respiro diretta a rinnovare in profondità i contenuti, gli indirizzi, l'orizzonte del nostro sapere inteso come cultura distinta, differente, portatrice di valori autonomi, radicati nel passato e validi nel presente.
Pira è stato sicuramente uno dei primi - dopo Renzo Laconi e insieme a Umberto Cardia e Nereide Rudas - a riconoscere che la storia sarda deve cominciare a essere letta come storia civile dell'idea autonomista, attraverso il pensiero e l'azione dei gruppi dirigenti interni protagonisti della plurisecolare lotta per l'autogoverno. Ciò richiede un lavoro rigoroso, in grado di indicare e approfondire le ragioni dei tanti insuccessi e fallimenti, richiede grande capacità di autocritica perché non vi è dubbio che la fiaccola dell'autonomia sarda potrà restare accesa e guidare il nostro percorso a condizione che sappia illuminare anche gli angoli più bui della nostra storia, quelli che forse ognuno di noi vorrebbe che non esistessero e che invece costituiscono parte della nostra essenza.
La cultura sarda autoctona, prodotta dall'interno per endogenesi, deve sapersi relazionare con la cultura che penetra dall'esterno in una dialettica fatta di scambio e di reciproco arricchimento e non secondo una logica di signoria e di oppressione. La cultura sarda non deve qualificarsi per il suo isolamento e per il suo arcaismo, che sono proprio le cause principali delle nostre sconfitte e dello stato di subalternità a lungo vissuto e di cui permangono forti segni nel presente: cause che devono essere superate.
In tale prospettiva, deve affermarsi, a tutti i livelli, anche la ferma volontà di superamento di quel confine ancestrale, di quel limite, non solo fisico ma anche esistenziale, che la condizione di insularità sembra aver segnato, per tanto tempo, nella nostra coscienza e nella prassi storica e politica. L'isolamento fisico - che costituisce la percezione più comune e più immediata dell'insularità - ha accentuato nel mistero quei tratti di complessità e di unicità che da sempre sono stati peculiari alla Sardegna. Esso suscita sentimenti contrastanti: da un lato costituisce, infatti, fonte di vantaggi non trascurabili in termini di salvaguardia ambientale e di mantenimento degli equilibri naturali e del quieto vivere; dall'altro, presenta anche diseconomie e svantaggi non meno trascurabili.
È per questo che la battaglia per il superamento della condizione di insularità può - e, ad avviso di chi scrive, deve - costituire una delle carte fondamentali da giocare per ribadire, a livello costituzionale, il diritto di cittadinanza dei Sardi e, al tempo stesso, per riaffermare il principio di specialità dell'autonomia regionale nell'età della globalizzazione. Ed è per questo che la battaglia implica la costruzione di un fronte comune con le altre realtà territoriali - presenti a livello europeo e internazionale - che vivono la stessa condizione e che reclamano una maggiore tutela giuridica ed economica.
I Sardi, da millenni prigionieri all'interno degli stessi confini, isolani e isolati, riflettono tuttora, nella loro indole e nel modo di operare, l'accento forte e l'ombrosa malinconia di un mondo pietroso e inerte. Ma racchiudono anche l'ansia di superare tale condizione, di scoprire nuove terre e nuove verità. Esprimono il sentimento forte e la volontà ferma di costruire una nuova cultura regionale e dell'autonomia, critica, intesa come sintesi di memoria storica, di conoscenza delle proprie radici e peculiarità e, al tempo stesso, di apertura al mondo moderno quale condizione imprescindibile di progresso e vero sviluppo.