Quel che importa è la vittoria
Mai visto un fuoco di sbarramento così intenso e così trasversale nei confronti del cosiddetto "reddito di Cittadinanza", un provvedimento che, tradotto in soldoni, ha come scopo prioritario quello di fornire al cittadino disoccupato o inoccupato, con un reddito non superiore ai 500 euro, un contributo quantificato per un massimo di 780 euro, atto a toglierlo da uno stato di indigenza, per accompagnarlo, anche mediante riqualificazione professionale, all'acquisizione di una posizione lavorativa che lo faccia uscire dalla fascia di popolazione inattiva e assistita per ricollocarlo fra le persone attive e produttrici di reddito.
Un progetto tutto sommato abbastanza innovativo, se non altro perché condiziona il conseguimento dell'incentivo economico: da un lato l'aspirante lavoratore dovrà muoversi verso una qualunque parte d'Italia e dall'altro il datore di lavoro provvederà alla qualificazione professionale di chi intende assumere. E da qui la prima critica dei soliti sindacalisti, secondo i quali far trasferire un giovane da Crotone a Bolzano equivarrebbe a una "deportazione", ignorando che l'alternativa a quella "deportazione" sarebbe lavorare per la 'ndrangheta.
Ma vediamo un po' chi sono i principali critici del provvedimento.
Abbiamo in primis i rigoristi: «
Il reddito di cittadinanza è finanziato in deficit, per cui produrrà più debito pubblico e quindi più spread, portandoci alla rovina».
Vengono poi gli economisti puri: «
Col reddito di cittadinanza si aumentano le spese correnti. Occorre invece investire sulle infrastrutture, sulla ricerca, sugli incentivi all'industria, solo così si creano i posti di lavoro».
E, per concludere, abbiamo i calvinisti del lavoro: «
Il reddito di cittadinanza è un incentivo ai fannulloni, a quelli perennemente sdraiati sul divano, a quelli che lavorano in nero».
La realtà vera è che il provvedimento è frutto del movimento politico più strampalato che abbia partorito la fantasia politica italiana, inventato da un comico squinternato come Grillo e da un visionario quale fu Casaleggio. Il primo col suo vaffanculo portò i cinque stelle a essere maggioranza nel paese. Il secondo ne fece un partito che pur privo di sedi, di organizzazione, di stampa, di soldi, con la rete, divenne un organismo compatto ed efficientissimo.
Poi venne la maggioranza relativa alle politiche del 4 marzo 2018 e infine il colpaccio del governo con la Lega di Salvini. L'alleanza di un partito sovranista con uno populista. Il primo territorialmente e culturalmente espressione del nord produttivo e dinamico, il secondo espressione del sud perennemente insoddisfatto e subalterno. In un colpo solo l'Italia ha fatto la sua rivoluzione. Il meridione dopo secoli ritorna a essere politicamente e culturalmente un soggetto autonomo e attivo che tratta alla pari col nord. Scusateci l'iperbole.
È come se Cavour anziché spedire Garibaldi a conquistare il sud, si fosse accordato con i Borboni per creare l'unità d'Italia.
Che questo dia fastidio a molti, anche a destra, è normale. Se ne facciano una ragione: la nuova Italia passa anche attraverso Gigino Di Maio, congiuntivi compresi.