Sopra: i protagonisti delle trattative per un accordo tra Ucraina e Russia
Sotto: la bandiera ucraina
Federica Mogherini, la grande rappresentante della politica estera europea, ha concesso una notevole intervista al quotidiano "La Repubblica": tra le altre cose, si è dichiarata contenta dell'attivismo di Angela Merkel e François Hollande nel negoziato con Vladimir Putin per la ricerca di una soluzione pacifica della crisi ucraina.
Un negoziato serrato e lunghissimo, che ha visto i protagonisti riuniti attorno a un tavolo: Putin, Merkel, Hollande e Petro Poroshenko, presidente dell'Ucraina. Le foto di rito mostrano questo quartetto unitamente ad Aleksandr Lukashenko, presidente della Bielorussia, che, a Minsk, ospitava questi negoziati.
Assente, ma ben presente con le sue minacce di fornire armi letali all'Ucraina nel caso di fallimento dei negoziati, il presidente degli Stati Uniti Barak Hussein Obama.
Assente, perché non conta niente, Federica Mogherini. Quella per la quale il nostro Renzi ha rinunciato in sede europea a un ben più importante commissario economico: secondo i calcoli del nostro esimio statista era più importante una carica di "alta rappresentanza".
"Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Unione Europea": pomposo titolo vuoto di contenuti operativi. Infatti la nostra Mogherini è assente nei negoziati sull'Ucraina così come è assente nei negoziati sul nucleare iraniano, ai quali partecipa lady Ashton precedente "lady Pesc". Così è la vita.
Quindi a rappresentare l'Europa c'erano la cancelliera tedesca e il presidente francese, per tentare l'ultima carta per scongiurare una guerra in Europa. Segnale dell'importanza di queste due nazioni nel consesso mondiale e segnale di assoluta irrilevanza per l'Italia nostra. Non contiamo più niente.
La nostra Mogherini nel frattempo rilasciava interviste ai giornali. Però era soddisfatta. E seguiva «
passo per passo in costante contatto con Berlino questo tentativo».
Eppure sembrava la persona adatta a ricoprire quel ruolo: addirittura, quand'era responsabile della politica estera del Pd, tweettava che Renzi (allora ancora impegnato a fare lo scalatore di partiti e di governi) «
ha ancora bisogno di studiare un bel po' di politica estera».
Ma la nostra Federica rispecchia in pieno quest'Europa senza una politica comune, nella quale l'attivismo diplomatico dei Francesi e dei Tedeschi ne mette a nudo l'inconsistenza, una sorta di girovagare senza bussola: un richiamo accondiscendente verso la Russia e un altro ai princìpi sull'intangibilità territoriale dell'Ucraina (sentito omaggio ai desideri di Obama).
L'illusione di una politica europea comune si infrange di fronte alla realpolitik messa in mostra a Minsk.
Ma il paradosso è che i leader di Francia e Germania rappresentano in qualche modo l'Europa (non quella dei princìpi ovviamente, ma quella degli interessi economici) e sono lì per decidere per un altro paese (l'Ucraina) che secondo i loro calcoli potrebbe entrare in Europa tra un paio d'anni.
Europa: nano militare e diplomatico. Questi miseri calcoli, sessantaquattro anni dopo la fondazione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, mostrano l'inconsistenza di un sogno politico: l'Europa resta un'espressione geografica, allo stesso modo dell'Italia vista da Von Metternich.
Semplice unione monetaria, con il portafoglio al posto degli ideali comuni.
La Mogherini non esclude un inasprimento delle sanzioni europee nei confronti della Russia? Madrid risponde subito che il costo delle sanzioni già messe in atto contro la Russia è di circa 24 miliardi di euro di mancate esportazioni. E che il maggior propugnatore di queste sanzioni è il presidente degli Stati Uniti, paese il cui scambio commerciale con Mosca è pari a circa 35 miliardi di euro, contro gli oltre 400 miliardi di euro dell'Unione Europea.
La verità è che dobbiamo pagare questo scotto in nome della fedeltà verso Washington e poco importa se oltre oceano spingono per ulteriori sanzioni (tanto il costo economico è il nostro) e minacciano l'invio di armi all'Ucraina (tanto la guerra e le bombe scoppiano in Europa).
Ed è ancora più paradossale che a minacciare l'invio di armi a Kiev sia lo stesso Presidente che ha chiesto al Congresso degli Stati Uniti una fumosa autorizzazione per un'eventuale massiccio intervento militare in Iraq. È lo stesso Presidente insignito del Premio Nobel per la Pace.
In un'Europa che si ciba di slogan e frasi fatte ("l'Europa dei popoli", come suona bene!), ciò che traspare è il risorgere di nazionalismi, da Kiev a Mosca, da Washington a Berlino e Parigi.
Capita spesso nelle discussioni su questa vicenda di sentire nette prese di posizione in favore dell'Ucraina e altre (poche) in favore di Putin.
Ma molti tendono a dimenticare che in occasione dei negoziati per la riunificazione delle due Germanie, fu promesso a Gorbaciov che la Nato non si sarebbe mai affacciata oltre i confini delle Germania dell'Est. Una promessa non scritta, ma presente a tutti, che non è stata mantenuta. Da noi occidentali.
L'Ucraina è per la Russia una sorta di cuscinetto di sicurezza e questa considerazione è stata ripetutamente scritta in tutti i documenti strategici della Nato, ipotizzando anche le probabili reazioni della Russia nel caso in cui il patto non scritto non fosse stato rispettato.
Quindi ciò che sta avvenendo non può aver colto nessuno di sorpresa.
E allora? Cosa ha spinto l'Europa (chiamiamola così) e gli Stati Uniti a provocare questa crisi?
C'è dietro forse l'avversione palpabile di Obama nei confronti di Putin?
C'è forse un mero calcolo economico europeo di annettere un altro mercato per i propri prodotti?
Ci sono i Paesi baltici che soffiano sul fuoco?
È indubbio che in questo marasma provocato dall'Europa e dagli Stati Uniti la Russia si senta minacciata e che quindi cerchi nuovi equilibri e rafforzi legami economici e strategici verso l'oriente (Cina) e verso il Mediterraneo (Egitto e Grecia).
Come risolvere questa crisi, sperando che il cessate il fuoco concordato a partire dal 15 febbraio possa reggere alla prova dei fatti?
L'ex ambasciatore Sergio Romano ha affermato: «
Vi sarà una soluzione soltanto quando l'accordo sarà concluso tra la Russia e le democrazie occidentali nello spirito dell'intesa tra George H.W. Bush e Mikhail Gorbaciov nel 1991».
Comunque, dopo 17 ore di trattative, si è raggiunto uno straccio di accordo. Che non soddisfa l'Ucraina, alla quale non è certo stata garantita l'integrità territoriale, né frontiere sicure, né allontanamento di truppe "straniere". Gli interlocutori giocavano su lunghezze d'onda diverse. I nostri "Europei" sono troppo preoccupati del ritorno di immagine che hanno in casa propria o dei sondaggi d'opinione interni e in questa snervante partita a scacchi il loro è un gioco più di apparenza che di sostanza.
Putin ha tutto il tempo che vuole, non è preoccupato di ciò che pensano i Russi e non gli interessano i risultati immediati: il suo sguardo non è rivolto solo alla Crimea o al Donbass, ma a tutti i territori che ricadevano nell'orbita sovietica. Può anche sacrificare una torre o un cavallo, ma alla lunga è in grado di minacciare scacco matto a tutti.