Il Cap. Faedda a fianco del Magg. Dalmas (con gli occhiali scuri) in zona d'operazione
Il reggimento viene prima trasferito nell'Astigiano, impiegato in operazioni di anti-guerriglia, successivamente sulle Alpi occidentali a contrastare la minaccia d'invasione delle truppe francesi di De Gaulle.
Nel gennaio del '45 Faedda sostituisce il Maggiore Sala al comando del 1º Btg. "Folgore" e, nel tratto di fronte compreso tra il Moncenisio e il piccolo San Bernardo, attacca munite posizioni francesi, espugnandole e costringendo il nemico ad arretrare, lasciando in mano ai paracadutisti molti prigionieri. I combattimenti si susseguono sino al 24 aprile. A quella data, improvvisamente, i reparti alpini tedeschi (alpenjager) che affiancano i paracadutisti, abbandonano le proprie posizioni, regalando ai camerati italiani tutto il loro materiale.
Il giorno 26, le postazioni italiane sono inondate da migliaia di volantini lanciati da aerei alleati che invitano i soldati a cessare le ostilità. Il giorno successivo abbandonano le posizioni sul Moncenisio e ripiegano nella cittadina di Susa, occupandola. Alla sera del 28, quando si è già diffusa la notizia della morte di Mussolini, si presenta al comando del battaglione una delegazione del Cln che chiede perentoriamente la resa senza condizioni del reparto e la consegna delle armi.
Faedda rompe ogni indugio: prende in ostaggio la delegazione partigiana e abbandona Susa. Giunge nelle primissime ore del mattino del 29 alla periferia di Venaria accolto da un vistoso cartello con la scritta: "Folgore - Venaria sarà la tua tomba".
Ne scaturisce un breve ma violento combattimento con una formazione partigiana locale. Alla fine i paracadutisti si ritrovano padroni di un buon numero di fiammanti autocarri Fiat con già dipinta nelle fiancate la falce e il martello. Motorizzato ancor più che alla partenza, Faedda riceve precise disposizioni per portarsi nella località di Strambino presso Ivrea, scelta come località di concentramento delle unità italiane della Rsi provenienti dal Piemonte e dalla Liguria.
A Strambino Faedda si presenta al generale Adami Rossi, pure lui sardo, e poi si sistema nella casa del fascio, troppo affrettatamente ribattezzata "casa del popolo", sloggiando gli esponenti locali del Cln.
Il 3 maggio arrivano gli Americani, che però lasciano il battaglione in armi sino al 5, allorché, in quel d'Ivrea, mentre gli Americani tributano loro l'onore delle armi, i paracadutisti si consegnano prigionieri.
Faedda rincontrerà tutti gli altri suoi commilitoni l'8 maggio a Modena, e da lì, tutti insieme, verranno condotti al campo di concentramento di Coltano in Toscana.
Finita la prigionia, Faedda nell'ottobre del '45 rientra in Sardegna, pensando che per lui i guai e le tribolazioni fossero finalmente cessate. Invece l'essere stato fedele a sé stesso e alla sua patria, lo porterà a dover affrontare un mare di imputazioni, infamanti per il suo onore di soldato, da cui uscirà a testa alta, ma solo nel 1960.
Ciò, tuttavia, non lo salvò da quello che lui riteneva l'offesa più grave e ingiuriosa: l'essere stato radiato dai quadri dell'esercito.
Infatti, benché assolto da ogni genere di accuse, l'esercito rifiutò di reintegrarlo nei suoi ranghi. Cosa questa che colpiva Faedda non solo dal punto di vista morale ma anche dal punto di vista materiale. Essendo infatti militare di carriera, si trovò di punto in bianco senza alcun reddito e con una famiglia a carico, per cui fu costretto a esercitare vari mestieri fintantoché non venne assunto all'Erlas (Ente per la lotta contro la malaria).