EXCALIBUR 56 - ottobre 2009
in questo numero

Silvio l'Africano

Una politica estera che dà fastidio a chi non la sa fare

di Angelo Abis
Sopra: Silvio Berlusconi e Mohammar Gheddafi, accordi significativi tra i due paesi
Sotto: scia verde? No, tricolore! L'esibizione delle Frecce Tricolori nel cielo di Tripoli ha suscitato proteste e perplessità. Niente di nuovo
È difficile capire la politica estera italiana basandosi sul dibattito della stampa. La stampa tende poi ad appassionarsi agli aspetti più appariscenti, che in genere sono anche i più marginali, e a vellicare le aspettative e le opinioni del proprio pubblico.
Per cui, a volerci capire qualcosa, stante il fatto che è impossibile consultare i documenti delle cancellerie o accedere a informazioni confidenziali di chi conta, non rimane che seguire alcuni criteri generali che riguardano gli atti internazionali, e considerare le costanti della politica estera nazionale che dall'unità d'Italia ai giorni nostri non è che abbia avuto molte varianti, e che possiamo riassumere, all'ingrosso, in questi termini:
1) assoluta parità con le altre grandi nazioni europee, segnatamente Gran Bretagna, Germania e Francia;
2) linee di espansione o di leadership verso l'est balcanico e il sud africano.
Il primo criterio ci induce a considerare ogni accordo fra stati come un do ut des di cose molto concrete.
Alla luce di quanto su esposto abbiamo tentato di andare oltre la vulgata che individua nel trattato di amicizia, partenariato e cooperazione stipulato tra Italia e Libia nel 2008 a Bengasi, un buon affare del piazzista Berlusconi, il quale in cambio di un bel po' di quattrini (5 miliardi di dollari in 20 anni), mettendosi sotto i tacchi molto della dignità nazionale, ha garantito all'Italia, per trent'anni, 800.000 barili di petrolio al giorno (circa 35.000.0000 di tonnellate all'anno), più il respingimento in Libia dei clandestini.
Qualcuno potrebbe anche obbiettare che se è vero che l'accordo con Gheddafi è vantaggioso, come mai Prodi e D'Alema, da sempre amici del leader libico, pur avendo iniziato e anche favorevolmente concluso alcune trattative, non siano poi riusciti a condurre in porto la trattativa finale? E qui entra in ballo un argomento di cui nessuno ha parlato: perché Gheddafi voleva stipulare con noi un trattato di amicizia (cioè un'alleanza vera e propria) e non dei semplici accordi su singoli problemi che riguardavano i due paesi? In realtà al leader libico importava poco (e poco gli conveniva) venderci il suo petrolio, impedire la partenza dei clandestini dal suo territorio, o affidarci l'appalto delle opere pubbliche.
Gheddafi voleva due cose:
1) l'Italia doveva chiedere scusa e indennizzare la Libia per i danni provocati dalla dominazione coloniale;
2) Italia e Libia dovevano essere militarmente alleate.
Le due questioni sono poi strettamente intrecciate: Gheddafi, che è anche presidente dell'associazione degli stati africani, non potrebbe nel modo più assoluto presentarsi al proprio popolo e a tutta la comunità africana come alleato di un paese ex coloniale, a meno che questi non si mostri pentito e paghi...
Ma perché Gheddafi vuole l'alleanza militare con noi? Semplice: perché la Libia è un gigante economico, ma militarmente è zero, e ha un immenso territorio che non riesce a controllare, con vicini non proprio affidabili. Evidentemente l'Italia, secondo Gheddafi, per ragioni storiche e geopolitiche è la più idonea (o la più disponibile) a svolgere il ruolo di "protettore militare" della Libia. È qui che sono cascati Prodi e D'Alema.
Chiedere scusa ufficialmente come ex potenza coloniale e per giunta concedere indennizzi, significava entrare in rotta di collisione con Francia e Inghilterra, con le quali esiste un tacito accordo sulla difesa del proprio passato coloniale. Stipulare poi un'alleanza militare significava attirarsi le ire degli Stati Uniti e della Nato.
Magari Prodi e D'Alema avrebbero voluto fare l'una e l'altra cosa, tacitamente o sottobanco, ma ufficialmente e per giunta con un trattato di amicizia proprio non se la sentirono: sarebbe stata una cosa troppo di sinistra. E a questo punto entra in ballo il Cavaliere, che sarà pure puttaniere, vanesio, megalomane e un pericolo per la democrazia, ecc., ma che sa andare al nocciolo dei problemi e soprattutto sa trovare soluzioni positive dove gli altri vedono solo nero. Urtare la suscettibilità franco-inglese sul problema del colonialismo è per Berlusconi un invito a nozze. A parte che sono invisi ai 3/4 dell'Africa, da dove sono stati cacciati via, come dimenticare le oltraggiose campagne di stampa inglesi e francesi apparentemente contro Berlusconi, in realtà contro l'Italia, che essi vedono come potenza in ascesa e quindi temibile concorrente sul piano economico e dell'influenza in non pochi paesi asiatici e africani (Libia compresa)? Quanto alle ire o ai brontolii americani ci avrebbe pensato lui a convincere l'amico Bush della bontà dell'operazione "Libia" non solo per l'Italia, ma anche per gli stessi Usa. D'altronde gli Stati Uniti in questa fase storica, stretti tra una crisi economica epocale e grossi problemi di geopolitica che si chiamano Iran, Palestina, Irak, Afghanistan, per non parlare di Russia e Cina, tutto possono permettersi, fuorché prendere le distanze dall'Italia, che al momento è forse l'alleato più affidabile.
Berlusconi ha poi individuato nel trattato di amicizia con Gheddafi il grimaldello per una forte penetrazione economica in Africa, al momento territorio quasi interamente riservato alla Cina.
Poco sappiamo sull'alleanza militare, anche perché degli accordi militari (di tutti gli accordi militari) è più quello che viene tenuto segreto di ciò che viene messo per iscritto. Di certo c'è che forniremo (e gestiremo) il sistema di controllo satellitare sui confini terrestri della Libia e tre motovedette per il pattugliamento costiero (oltre le 3, già fornite, con equipaggi misti, per il respingimento dei clandestini). Di una cosa siamo sicuri: d'ora in avanti avremo una presenza militare italiana stabile in Africa: mancavamo dal 1943.
Riassumendo possiamo dire che Gheddafi ha ottenuto da Berlusconi ciò che più gli premeva per potersi atteggiare a leader panafricano (la Libia è l'unico paese africano che abbia ricevuto scuse e indennizzo da uno stato ex coloniale) e per poter disporre di forze armate e di polizia (lo sapete che i poliziotti libici vengono addestrati nella base della P.S. di Abbasanta?) degne di questo nome.
In cambio il Cavaliere ha ottenuto praticamente l'appalto privilegiato di tutta l'economia libica; costruiremo tutto noi: dalle strade alle ferrovie, dalle università ai quartieri abitativi, senza passare attraverso gare internazionali e quindi con ottimi guadagni. Non parliamo poi delle forniture di petrolio e di gas, nonché di ulteriori concessioni petrolifere affidate all'Eni, al quale il Cavaliere ha caricato il famoso indennizzo, 5 miliardi di dollari in 20 anni. Il tutto peserà per 5 dollari al barile, meno di 0,3 centesimi di euro al litro, sul petrolio ceduto all'Eni.
Sul piano interno Berlusconi poi porta a casa il respingimento dei clandestini, problema spinoso non solo per lui ma anche per la Lega, che sulla tolleranza zero ai clandestini aveva giuocato tutta la sua credibilità.
E per finire un po' di revisionismo sull'occupazione italiana in Libia, non certo per addossare colpe a chicchessia (in questo caso, una volta tanto non c'entra solo il fascismo e Mussolini, ma anche l'Italia liberale di Giolitti e del ministro antifascista Giovanni Amendola).
Innanzitutto non è vero che Tripolitania e Cirenaica divennero italiane col trattato di Losanna stipulato con l'impero Ottomano nel 1912. In realtà per oltre un decennio fummo assediati dagli Arabi in pochi centri costieri. La Tripolitania fu conquistata dopo dure lotte solo nel 1925 e la Cirenaica nel 1931 con misure draconiane, del resto comuni a tutti gli stati coloniali, come il confino della popolazione civile in campi di concentramento e la fucilazione dei ribelli.
Occorre anche ricordare che il padre di Gheddafi fu ferito e il nonno ucciso dagli Italiani. Ma ciò che più pesa nell'immaginario collettivo arabo fu l'impiccagione di Omar el Mukhtar.
Su questo guerriero arabo il mio professore di storia dei paesi afroasiatici, Enrico De Leone, vecchio funzionario coloniale e monarco-fascista fino alla morte, ebbe a scrivere: «La sua esecuzione, avvenuta a Suluk a quattro giorni di distanza dalla sua cattura e a seguito di un processo sommario, costituì indubbiamente un errore commesso da Badoglio e da Graziani, che, come aveva già fatto la Francia... avrebbero potuto dimostrarsi generosi con un avversario più che settantenne, il quale non essendosi mai sottomesso, non andava trattato alla stregua di un ribelle. Un atto di generosa e intelligente clemenza avrebbe anche evitato, a danno dell'Italia, l'esaltazione di un martire fatta, per molto tempo, presso quasi tutti i paesi musulmani del vicino Oriente».
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