La copertina di un numero della rivista "Mediterranea"
"Mediterranea" è in questo senso esemplare. Nell'area della sinistra essa o non è esistita o ha meritato poche righe di commento infarcite di giudizi ideologici senza il minimo approfondimento storiografico. Ma anche nell'area culturale di ispirazione sardista si è registrato un colpevole imbarazzo, dato che nella rivista sono coniugati il diavolo e l'acqua santa, vale a dire l'indirizzo fascista, innestato, però, in una linea di perfetta continuità, sui temi, i problemi e i linguaggi tipici del sardismo culturale. La storiografia di destra, a sua volta, ha semplicemente taciuto. E così si spiega come di quella straordinaria esperienza politico-culturale non esista alcun saggio o monografia, né alcuna antologia di testi. Ma chi vuole ragionare di arte e cultura nel Ventennio non può non fare i conti con "Mediterranea". Anche perché l'eredità storica di quello sforzo ha lasciato aperte molte strade e ha sviluppato in termini operativi ciò che era stato seminato in precedenza.
Al centro del progetto di "Mediterranea" si pone la rilettura del problema dell'identità. Nuovo ruolo nel bacino mediterraneo; apertura della cultura isolana in campo internazionale; riscoperta di personaggi, luoghi e temi da esportare sono solo alcuni dei punti centrali che implicano la costruzione consapevole di una piattaforma identitaria capace di divenire simbolo di riferimento per la Sardegna. Senza l'elaborazione di una simbologia adeguata al nuovo corso storico, tutta l'operazione si sarebbe arenata nel cliché dell'isola retrò, chiusa in sé stessa e in una dimensione museale contrastante con il ruolo centrale nel Mediterraneo.
Pubblicata a Cagliari nel gennaio del 1927, "Mediterranea" fu diretta dall'onorevole Antonio Putzolu, gerarca fascista di primo piano, e dall'Ingegner Dionigi Scano, allora sovrintendente ai monumenti della Sardegna. Nella redazione figurano altri intellettuali di spicco come Sebastiano Deledda, aiutato da Raffaele Di Tucci, sostituito a partire dal settembre 1928 da Ernesto Concas.
Escono complessivamente 79 numeri, dal gennaio 1927 al dicembre 1935, dapprima ribattezzata come "rivista mensile di cultura e di problemi isolani" e dal 1932 come "rivista bimestrale di cultura e di problemi mediterranei". A partire da questa data il giornale esce ogni due mesi per la crisi della carta che colpisce tutta la stampa italiana, mentre verranno pubblicati successivamente due numeri unici: quello del 1937 dedicato alla divisione sabauda, l'altro del 1939 sulla Corsica.
Finanziata da Mussolini, il nome della rivista è inequivocabile, in quanto si propone l'ambizioso progetto di diffondere la cultura sarda e di far conoscere allo stesso tempo i progetti e le opere compiute dal governo fascista. Se da un lato, perciò, vengono proposti in modo quasi ossessivo tematiche di matrice sardista, dall'altro la rivista diventa il "manifesto dell'isola rinnovata dal fascismo" che vuole veicolare l'immagine di una terra fatta non soltanto di tradizione e folklore, ma attivamente impegnata nel processo di trasformazione e di dominio sul Mediterraneo, dove, secondo il regime, tutta l'Italia avrebbe dovuto cercare uno "spazio vitale" attraverso la penetrazione economica. L'ormai consolidata cultura incentrata sulla sardità viene cioè riproposta integralmente in "Mediterranea", ma senza perdere di vista l'aspirazione della Sardegna, regione di frontiera, di riconquistare nel Mare Nostrum l'antico primato egemonico dell'Italia. La rivista dunque attinge da un substrato culturale fondato su identità e aspirazioni che si vogliono salvaguardare, ma allo stesso tempo trova il modo per rendere compatibile l'identità sardista con l'ideologia imperante.