Sopra: i relatori del convegno Guido Giraudo e Pierfrancesco Gamba e il moderatore Fabio Meloni
Sotto: una panoramica parziale del folto pubblico presente
Un'iniziativa nata come una grande scommessa e portata a compimento come un grande successo. La riuscita
serata dedicata a Sergio Ramelli - svoltasi nel Teatro Auditorium Comunale di Cagliari nel mese di ottobre - è stata il risultato di un difficile lavoro e dell'impegno di un inedito
Coordinamento "La Fiaccola", al quale per l'occasione hanno aderito le associazioni culturali "Area - Paolo Cossu", "Manfredi Serra", "Europa III Millennio" e "Vico San Lucifero".
Proprio l'unione di alcune anime della destra cagliaritana - tranne una volontaria eccezione, comunque ininfluente per qualità e quantità - è stata il primo positivo risultato di questo evento, fatto raro in un ambiente troppo spesso diviso da rivalità che ben poco hanno di politico.
A simboleggiare ulteriormente l'importanza di questo momento unitario, il nome scelto per il Coordinamento. "La Fiaccola" rappresenta la continuità ideale di una comunità che non intende né dimenticare né rinnegare il proprio passato, la propria storia. La
fiaccola come simbolo della staffetta generazionale che ha visto giovani e meno giovani uniti nel nome di Sergio e dei valori che rappresenta.
La manifestazione - che ha avuto il patrocinio della Provincia di Cagliari e dell'assessorato alla cultura del Comune di Cagliari - è stata aperta dal convegno "
Sergio Ramelli: una storia che fa ancora paura", con la partecipazione del deputato
Pierfrancesco Gamba, parlamentare e presidente provinciale di Alleanza Nazionale di Milano, oltre che dirigente delle organizzazioni giovanili del M.S.I. negli anni ottanta, di
Guido Giraudo, giornalista (nessuno avrà dimenticato la sua
penna sul glorioso "Candido" di Giorgio Pisanò) e autore del libro su Ramelli, e del giornalista
Fabio Meloni, rappresentante del Coordinamento.
Gli interventi di Gamba e di Giraudo hanno rievocato la storia di Sergio e il clima degli anni settanta nel quale maturò la spedizione punitiva dei militanti di Avanguardia Operaia. È stato ricordato come la vicenda di Sergio non sia altro che la storia di un gruppo di giovani studenti universitari di sinistra carichi d'odio verso l'avversario politico, tanto da avere la forza e il coraggio, in quel maledetto 13 marzo 1975, di spaccare la testa a colpi di chiave inglese a un ragazzo di 18 anni a loro sconosciuto, secondo una logica di morte che nelle piazze di allora gli faceva gridare che «
uccidere un fascista non è reato». Poi, portata a compimento la missione di morte, gli assassini negli anni seguenti terminavano gli studi, sopravvivendo tranquillamente con la propria coscienza per oltre dieci anni, diventando normali e stimati professionisti, formando una famiglia ed educando da
buoni padri di famiglia i propri figli. Ovviamente proseguendo la propria attività politica da Avanguardia Operaia (movimento che in quegli anni aveva tra i suoi
leader anche Edo Ronchi, più tardi ministro della Repubblica) in Democrazia Proletaria e quindi in Rifondazione Comunista, anche tra i banchi delle istituzioni. Così sarebbe stato ancora, se nel 1985 non fosse arrivata la coraggiosa inchiesta di un giudice milanese che li ha accusati di omicidio volontario, facendoli condannare a pene tra i 6 e gli 11 anni, peraltro scarsamente scontate.
Questo era l'antifascismo militante, la logica dell'annientamento dell'avversario, lo stile di lotta politica di chi, dopo l'omicidio di Sergio, scriveva sui muri «
10, 100, 1000 Ramelli» oppure nei cortei gridava: «
Tutti i fascisti come Ramelli, con una riga rossa sui capelli».
«
La nostra iniziativa - ha sottolineato Fabio Meloni, presentando la
richiesta di intitolare una via o una piazza di Cagliari alla memoria di Sergio Ramelli -
non va interpretata come un tentativo di riscrivere la storia, ma come la volontà di riaprire alcune pagine della storia italiana, anche recente, che sono state cancellate e volutamente dimenticate. La storia di Sergio non merita di cadere nell'oblio di uno dei tanti scontri di piazza, ma deve restare nella memoria di tutte le generazioni in considerazione dei supremi valori di libertà incarnati nella sua persona, colpevole solamente di aver espresso liberamente le proprie idee. Questa iniziativa vuole accomunare in un'unica pietà i morti di quei tragici anni, ricordando il sacrificio di Ramelli, giovane vittima della violenza politica, come simbolo della libertà negata e monito per le generazioni di oggi e di domani. La sua storia deve restare nella memoria della comunità nazionale come fulgido esempio di coerenza e di fede negli ideali».
Per sostenere l'iniziativa il Coordinamento ha raccolto le firme di oltre un migliaio di cittadini cagliaritani, compresi alcuni rappresentanti delle istituzioni, tra i quali numerosi consiglieri regionali, comunali e circoscrizionali di Cagliari, il presidente della Provincia di Cagliari Sandro Balletto e tutta la sua Giunta, l'assessore comunale alla cultura Giorgio Pellegrini e il vicesindaco di Cagliari Edoardo Usai. Proprio a quest'ultimo, in rappresentanza del sindaco Emilio Floris, assente per motivi istituzionali, è stato consegnato il primo blocco di firme: «
Prendo l'impegno, a nome dell'amministrazione comunale - ha detto Usai -
di sostenere questa richiesta, individuando un luogo pubblico della città da intitolare a Sergio Ramelli».
La serata si è conclusa con una rappresentazione teatrale del "Coro Drammatico Renato Condoleo" di Firenze, che ha messo in scena lo spettacolo "
Chi ha paura dell'uomo nero? Discorso su Sergio Ramelli", scritto e diretto da Paolo Bussagli, interpretato dallo stesso autore, da Marco Gasbarri, Carolina Gentili e Spyridula Nikolopulu.
«
Non è strano che esista uno spettacolo su Sergio Ramelli - così l'autore Paolo Bussagli ha spiegato la sua opera -
anzi è strano, piuttosto, che ne esista solo uno. Come artista e autore, mi chiedo come sia potuto accadere che nessun poeta, nessuno sceneggiatore abbia mai pensato, fino a oggi, di mettere in scena o in pellicola il caso Ramelli. La storia di Sergio non ha pari nella storia recente e meno recente del nostro paese. La prima impressione che si prova è l'orrore, un orrore che ci offende e ci stupisce. Ci si chiede: possibile che questo sia capitato in Italia negli anni settanta? Nasce così la tentazione di rimuovere questa vicenda, di non crederla, di negarla. Il punto è proprio questo: Sergio Ramelli fa paura. Quando tutti gli Italiani vorranno finalmente riacquisire la propria dignità e riscopriranno che essere coerenti e onesti è un dovere, allora sapranno guardare gli occhi di Sergio Ramelli senza vergognarsi, senza abbassare i propri. Allora, quando Sergio non farà più paura, smetteremo di ricordarlo. Ma fino a quando ci sarà qualcuno che ha paura di un ragazzo di 18 anni ucciso ventisette anni fa, ricordare Sergio sarà un dovere».