Arriva l'euro... ma dov'è l'Europa?
La moneta unica come trait d'union fra nazioni altrimenti senza alcun nesso
di Stefania Burini
Gennaio 2002: benvenuti nel pianeta euro.
Mentre le divise dei dodici paesi U.E. vanno definitivamente in pensione, tutti assaporiamo l'emozione delle prime spese in euro... ma l'euro, dopo un travaglio esageratamente lungo, è già orfano, o forse, ancora peggio, figlio di nessuno... Sì, perché mamma Europa è una sorta di realtà virtuale, e questo è perlomeno singolare, visto che anagraficamente ha più di 45 anni. Se consideriamo, infatti, come nucleo originario europeo quello nato nel 1957, anno del trattato di Roma, o ancora prima nel 1948, quando venne siglato il patto di Bruxelles che edificava le fondamenta di quella che sarebbe stata la C.E.E., l'Europa non è certo un enfant prodige.
E così, dopo una faraonica messa in piedi dei trattati di Maastricht del 1992 e Amsterdam del 1998, l'Europa recita, nello scenario internazionale, ancora la parte della cenerentola. Eppure quando fu siglato il trattato di Maastricht, oltre all'unione economica e monetaria si poneva come obiettivo una seria integrazione politica unita a forme di collaborazione su settori fondamentali come la politica estera e la sicurezza comune. Tutto sino adesso ci dimostra che verba volant. A quanti intravedono perciò il "deus ex machina" arrivato dal cielo per sciogliere i nodi dell'ingarbugliata matassa europea, dico "attenzione"!
L'integrazione monetaria non può e non deve surrogare l'integrazione politica o essere stampella di un aggregato debole, inetto, contraddittorio. In questo anno non sono certo mancate le occasioni per far balzare agli occhi di tutti un tristissimo spettacolo fatto di improvvisazioni, divisioni, sgambetti che hanno messo a nudo un dilettantismo che disonora la grande tradizione politica europea. Esempio sicuramente paradigmatico di questa "inadeguatezza" europea (per usare un termine indulgente) è stato dato dalla crisi internazionale apertasi dopo l'11 settembre, divenuta il banco di prova per l'Unione.
Purtroppo a questo punto la foglia di fico che ben copriva le vergogne europee è caduta, mostrando al mondo la nostra imperdonabile debolezza, l'assenza di una politica estera comune. Mentre gli equilibri internazionali subivano perciò una vera e propria rivoluzione copernicana, con la nascita di un insolito asse Washington-Pechino-Mosca, i leaders europei, Francia e Germania in testa, erano impegnati in congiure e "dispettucci" che hanno causato all'Italia non pochi "imbarazzi" internazionali (della serie: io offro contingenti militari da inviare in Afghanistan e non te lo dico, vado da Bush e tu rimani a casa, ecc.) finalizzati soprattutto al rafforzamento della loro leadership all'interno dell'U.E..
Mentre i leaders europei sembravano concordare nell'infantile e semplicistico coretto «no al terrorismo» e sprecavano fiumi di parole nella condanna ai deprecabili atti contro l'umanità (unica nota di unità), gli Stati Uniti, che per ragioni genetiche amano più i fatti delle parole, avevano già ottenuto il consenso politico e l'appoggio logistico di Cina e Russia per l'inizio delle operazioni militari. Definitivamente sdoganate, le due nuove star mondiali hanno presentato il conto all'amico americano, in barba ai Tibetani e ai Ceceni.
E nel teatrino internazionale che ruolo abbiamo avuto noi Europei se non quello delle comparse? E il day after che parte ci propone? Forse quella del cane randagio che famelico si aggira intorno al banchetto ormai vuoto per arraffare qualche avanzo, salvo poi, se afferra qualcosa di troppo grosso, prendersi una pedata nel sedere. Forse è questa per grandi linee la politica internazionale: c'è chi siede a capotavola, chi serve, chi guarda e chi mangia gli avanzi. Resta da vedere per quanto il padrone americano avrà il buon cuore di lasciarci qualche bocconcino.
I nostri partners europei, investiti dalla sindrome da "primadonna", non appaiono pentiti della gestione della "crisi delle due torri", anzi continuano a battere sulla stessa strada. Nel centro del mirino sempre la povera Italia. Partendo dai nostri "fratelli-coltelli" francesi, che si distinguono sempre per zelo. Ricordate quando il presidente Chirac si fece promotore dell'incontro di Gang escludendo l'Italia, e quando Forni, presidente dell'assemblea francese, rifiutò di ricevere il povero Marcello Pera, e le forti tensioni scatenate dal mancato acquisto dell'Airbus 400 in barba all'industria francese, e ancora gli antagonismi scatenati dalla corsa alla presidenza della commissione di riforma U.E.?
L'Italia paga forse con l'isolamento il fatto di avere un governo di destra e il conseguente avvicinamento a Madrid, Londra e Washington? Siamo vittime di una fronda antiitaliana che si nutre di antichi pregiudizi e moderne invidie bottegaie per la partecipazione al banchetto dei fondi strutturali. Dopo l'incontro del 1 e 15 dicembre a Laeken quali sono i risultati? Ancora liti per la spartizione delle authorities...
È questa l'Europa che sognavamo? Molti di voi ricorderanno che durante gli anni ottanta, la giovane destra aveva coniato uno slogan che ancora oggi ha la sua carica di modernità, anche per una capacità di anticipazione dei tempi straordinaria: «Europa, nazione, rivoluzione». Se ormai la rivoluzione l'abbiamo messa in soffitta, forse per la creazione di una nazione siamo ancora in tempo, nonostante i segnali scoraggianti che arrivano da più parti.
Ma attenzione! La vera "Europa nazione" non è quella dell'euro. Non basta, infatti, avere in tasca la stessa moneta o vedere sventolare la bandiera a sfondo blu in tutti gli angoli dell'Unione, né eliminare il filo spinato ai confini: le demarcazioni più difficili da cancellare non sono fisiche, ma mentali. Guerra perciò a quello spirito bottegaio e nazionalista che sopravvive in molti Europei, che impedisce di fatto a molti di vedere che l'Europa c'è, e non c'è bisogno di crearla in laboratorio: è in ogni centimetro delle nostre città, nelle chiese, nelle opere d'arte, nella filosofia. Sta a noi Europei mettere da parte per un attimo le beghe da cortile per riportare alla luce la grandezza di una delle più grandi opere della storia mondiale: la civiltà europea.