EXCALIBUR 24 - febbraio 2001
nello Speciale...

I combattenti sardi in Friuli-Venezia Giulia e Istria

Dopo l'occupazione della Sardegna da parte degli Angloamericani e delle truppe badogliane, questo giovane paracadutista fugge dall'Isola insieme ad alcuni camerati. Il gruppo si impadronisce di un bombardiere italiano e raggiunge così la terraferma. A chi gli domanda perché voglia combattere, egli risponde: «I miei genitori perirono a Cagliari in seguito a un'incursione aerea americana» (foto tratta dalla rivista tedesca "Signal" del 1944)
Nel gennaio del '44 il battaglione si trova a Opicina, località vicino a Trieste, proveniente da Cremona, dove probabilmente è stato sfoltito di parecchi uomini non adatti o non funzionali ai compiti che il battaglione dovrebbe svolgere nel Friuli-Venezia Giulia. Il Colonnello Fronteddu, primo comandante del battaglione, viene destinato ad altro incarico, a Padova, dove, il 14 agosto del 1944, viene ucciso da un gruppo di "gappisti" del partito d'azione. Per rappresaglia vengono impiccati e fucilati una decina di partigiani, fra cui il medico oristanese Flavio Busonera, componente del C.N.L. di Padova.
Prende il comando del battaglione un giovane militare di carriera: il Cagliaritano Capitano Achille Manso, che sino a quel momento aveva ricoperto l'incarico di comandante internale.
Alla fine del mese si verifica nel reparto un gravissimo atto di diserzione da parte di 28 soldati. Ce ne parlano due ex comandanti partigiani, Giacuzzo e Scotti, nel libro "Quelli della montagna", edito da un loro "Centro di ricerche storiche di Rovigno". I due partigiani, che al momento dell'edizione del libro vivevano nell'ex Iugoslavia, raccontano le imprese del Battaglione d'assalto "Trieste", facente parte dell'omonima brigata partigiana "Garibaldi". In un capitolo intitolato "Arrivano i Sardi", Giacuzzo e Scotti così raccontano: «Proprio in quel periodo, verso la fine del gennaio 1944, il battaglione ha la gradita sorpresa di essere raggiunto da 54 militari italiani, giovani mobilitati dalla Repubblica di Salò, i quali affermano di aver disertato le file del loro battaglione dislocato a Opicina presso Trieste e chiedono di combattere contro i Tedeschi e i fascisti. Sono tutti della Sardegna, completamente equipaggiati (ben vestiti, con armi e munizioni). Con essi il battaglione triestino raddoppia i propri effettivi [...]. A capeggiare la diserzione dei Sardi dalle formazioni "repubblichine" è un giovane pastore di Orgosolo, Luigi Podda [...]. Tutti si dimostrarono in seguito ottimi combattenti, convalidando la scelta fatta con il sacrificio della propria vita. Non è possibile ricordarli tutti, ma alcuni nomi di caduti restano impressi nella memoria: Francesco Cuccu, Egidio Mesina e Pietro Maria Campus di Orgosolo, su otto di quel paese; Giovanni Sanna, Giorgio Delogu, Ciriaco Cuccu e Giorgio Sanna su nove del paese di Bitti, Carmine Carcangiu e Salvatore Piras del Nuorese. Fra i sopravvissuti, oltre al Podda [...], si ricordano: Antonio Francesco Corraine, Antonio Michele Mesina, Pietro Maria Corraine, Giovanni Catgiu, tutti di Orgosolo. Giuseppe Buffo, Salvatore Coccu, Pietro De Roma, Giuseppe Mameli, Pietro Giovanni "Lattu", tutti di Bitti; Ignazio Ticca di Nuoro, Giulio Buttau di Villanova Strisaili, Angelino Soro di Galtellì, Pietro Bonu di Bono, Giovanni Morozzu di Benetutti, Pasquale Fozzi di Bonorva, che sarà ferito in combattimento e diverrà comandante del battaglione, Antonio Spanu di Cossoine, Antonio Fenu di Mons (forse Mores o Monti, n.d.a.)».
Dei disertori citati diventerà famoso, più che per le azioni partigiane, per la sanguinosa rapina (avvenuta nei pressi di Orgosolo in località "Sa Ferula" il 9 settembre del 1950, ai danni di un mezzo che trasportava le paghe per i dipendenti dell'E.R.L.A.S., l'ente deputato alla lotta contro la malaria), proprio il loro capo Luigi Podda con alcuni suoi ex commilitoni. Nel corso della rapina furono uccisi tre carabinieri. Il Podda, condannato all'ergastolo, fu poi graziato dal Presidente della Repubblica Saragat.
Il racconto di Giacuzzo e Scotti dovrebbe essere sostanzialmente esatto, se si eccettua il numero dei disertori che sarebbe stato di 28 e non di 54; del resto i due partigiani ne elencano in tutto solo 27.
L'episodio trovò conferma quasi immediata in una nota redatta il 12 febbraio del 1944 dal Maggiore Faccini, ufficiale di collegamento fra l'esercito della R.S.I. e il comando operativo dell'esercito tedesco posto a Sesana (Trieste). Così relaziona il Faccini: «"Battaglione sardo M. Angioy" a Trieste: Attualmente il battaglione si trova in campo di concentramento - Il Reparto è stato disciolto dal comando della zona operativa del litorale adriatico in seguito all'avvenuta diserzione di 28 elementi - I resti del battaglione e cioè i soldati che hanno nuovamente confermata la loro adesione (alla R.S.I., n.d.a.) verranno assegnati a vari reparti italiani. L'aliquota maggiore verrà assorbita dal battaglione confinario che avrà cura di tutelare lo spirito e le tradizioni sarde del piccolo reparto. Comandante Capitano Manso Achille». Il battaglione confinario di cui parla l'ufficiale della R.S.I. non è altro che il XIV Battaglione Costiero da Fortezza di stanza a Fiume. Una piccola formazione con meno di 300 uomini che non si sono sbandati l'8 settembre del 1943 e hanno continuato a combattere contro i partigiani slavi intorno a Fiume. Un ex di questo battaglione, Silvio Mazzaraco, nell'articolo "Quelli della Confinaria" racconta: «Lo zoccolo duro del XIV era formato da 200 militi confinari [...]. A questo primo nucleo tanto omogeneo, dotato di forza morale, spirito di corpo, vennero aggiunti 200 soldati del "Battaglione Volontari di Sardegna" di stanza a Opicina (Trieste)».
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