Militanza al femminile (2)
Quell'appendice in più... che fa la differenza
di Isabella Luconi
Non è certamente simpatico parlare in prima persona, quando non si è né famosi né importanti, anzi si rischia di annoiare chi legge, con ricordi personali e quasi mai condivisibili, ma poiché descrivere cosa significhi essere donne di Destra non è un concetto generalizzabile, è giocoforza che questa descrizione sia solo racconto personale, e perciò scusandomi con chi legge, ricorrerò alla descrizione della mia esperienza personale, che iniziò negli anni '70, poco più che tredicenne, in una città e in una regione che non era la Sardegna, e dove l'organizzazione dell'allora M.S.I. era diversa da quella cagliaritana.
Là, il Partito e la sua organizzazione giovanile, il Fronte della Gioventù, coabitavano nello stesso locale, e quando mi iscrissi al F.d.G. ero convinta di essermi iscritta alla sezione giovanile del M.S.I..
L'effetto dirompente di quella esperienza su una giovane adolescente è ben immaginabile; mi separava dagli altri militanti una decina di anni, e quel gruppo così "compatto", così bello, così forte, così tanto "maschio", rappresentava la sintesi di tutti quegli ideali per i quali mi ero avvicinata alla Destra.
Non mi ponevo, e nessuno mi poneva, il "problema di essere donna", ma ricordo di aver condiviso, la dove la libertà strappata alla famiglia con le bugie me lo consentiva, le esperienze di tutti i militanti: volantinaggi, cortei, manifestazioni, ecc., nei quali avevo sempre intorno "un quadrato di camerati maschi".
Venni via prima che la realtà potesse infrangere le illusioni, e ancora oggi non so rispondere se quella protezione appartenesse all'età o al sesso, so soltanto che mi è rimasto un dolce ricordo di una "maschia giovane destra" pronta a sfidare il mondo e a proteggere chi per sesso o per età non poteva difendersi.
L'esperienza cagliaritana fu così diversa... prima di tutto la collocazione del F.d.G., lontana dal Partito e ancora forse, nonostante il nome diverso, Giovane Italia.
Alla Sede, sicuramente molto maschia e vissuta, ogni tanto timidamente si affacciava qualche donna, che in breve tempo diventava "la donna di qualcuno" e "nessuno, come camerata".
Povere donne, destinate a dover scegliere fra il ruolo di Rachele o quello di Claretta, anche se, forse, qualcuna di noi poteva e voleva aspirare al ruolo di Duce... ma era come avvicinare l'acqua santa al diavolo!
Una donna poteva discutere di problemi femminili, poteva certamente organizzare qualche riunione su questi, poteva allacciare caschi e curare le ferite, ma essere camerata... via non diciamo eresie... il fascismo è maschio e il merito stà... in quell'appendice in più!
Iniziò così la mia solitudine, solitudine nel mondo che combattevo e solitudine nel mondo che amavo, e così sviluppai un concetto tutto mio di cameratismo, proiettando sugli altri i miei sentimenti, preferendo credere che per tutti fossi una camerata, come loro lo erano per me.
Ebbi l'incarico di Fiduciario del F.d.G. al liceo Pacinotti e conquistai con l'impegno e con il coraggio un posto al sole nel pianeta maschile della Destra cagliaritana. La galera suggellò la promozione a Camerata, e devo quindi, per ironia della sorte, ringraziare comunisti e polizia per aver avuto il diritto di fare il saluto romano e di chiamarmi camerata.
Oggi dopo tanti anni l'incontro con i vecchi militanti del Fronte della Gioventù; la vita è trascorsa, ci ha cambiati, maturati, siamo sicuramente diversi: solo io non sono cambiata... non ho ancora quell'appendice in più... che fa la differenza!