Sopra: Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin: lotta impari?
Sotto: le aree sotto pressione
L'allora Segretario di Stato americano Henry Kissinger si domandava: «
Se voglio parlare con l'Europa, chi devo chiamare?6#187;
Sono passati decenni da quella non involontaria battura, ma ora - come allora - sarebbe una domanda senza risposta.
Nella scivolosa questione Ucraina-Russia, nella quale torti e ragioni si intrecciano in maniera confusa, Kiev e Mosca, oltre a quotidiani colloqui tra Lavrov, Blinken e Zelensky, hanno visto un frenetico via vai di altisonanti personaggi, Macron, Scholz, Draghi (e va bene, anche Di Maio), nel quale si sono sprecati gli inviti alla moderazione, al dialogo, al "non chiudiamo le porte" e così via.
Solo il Papa non si è mosso, ma ha abbondantemente parlato nelle sue apparizioni settimanali.
Ognuno portava una fettina di autorità, ma la somma delle fettine non portava a nessun totale significativo.
Nessuno di loro poteva parlare per l'Europa, perché l'Europa non esiste.
Nello scacchiere globale nel quale si giocano le grandi partite che interessano il mondo, ma anche (o soprattutto) in quello più limitato nel quale la posta riguarda solo noi, l'Europa non ha nessuna voce o, talvolta, ha troppe voci discordi.
Gli esempi del fallimento di qualsiasi grande appuntamento nel quale siamo coinvolti sono molteplici: incapacità, per meri interessi nazionali, di una corretta e lungimirante gestione dei flussi migratori; sempre per gli interessi di una sola nazione e non di tutta l'Unione c'è la passiva acquiescenza davanti alle pretese di Erdogan e dei suoi ricatti (sopiti solo in cambio di soldi); se ricordiamo la crisi afghana ricordiamo solo la non esistenza di qualsivoglia azione europea; di fronte alla lotta economica che sconquassa i rapporti tra Oriente e Occidente siamo totalmente invisibili.
E anche questa volta in cui la posta in gioco ci riguarda da vicino, chi parla in nome dell'Europa?
Macron si agita come presidente di turno dell'Unione Europea, ma soprattutto come candidato alla rielezione presidenziale francese; Scholz parla a nome della Germania preoccupato soprattutto per il gasdotto Russia-Germania che dovrebbe tranquillizzare le sue esigenze energetiche; Draghi e Di Maio sono lì solo per poter dire che anche l'Italia ha cercato di addomesticare l'orso russo per addivenire a una soluzione pacifica.
E poi c'è Biden che guarda verso la crisi europea, ma le sue mosse risentono solo delle prossime elezioni di metà mandato, con nelle orecchie i cori di disappunto dopo la figuraccia afghana.
Dalla sua lontanissima sede fa la voce grossa e minaccia ritorsioni immediate e terribili se un solo soldato russo oserà metter piede sul suolo ucraino.
Sanzioni terribili, assicura.
E se la Russia, per reazione, dovesse chiudere la sua fornitura di gas? Forse gli Stati Uniti resteranno al buio e al freddo?
Ci sono in Europa paesi come Slovenia, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Serbia e altri che dipendono totalmente dal gas russo per le loro necessità energetiche. L'Italia, che importa circo il 95% del gas che consuma, ne deve il 43% alla Russia e il 22% all'Algeria.
Le sanzioni terribili minacciate da Biden avrebbero terribili ripercussioni sui paesi europei, non sugli Stati Uniti.
Ecco quindi la necessità di una assoluta cautela e di una ponderata analisi delle parole. Le minacce in certe situazioni sono solo controproducenti.
In questo scenario la Russia si muove certamente senza problemi eccessivi. Putin non è un uomo dal dialogo facile, anche se, indirettamente, attribuiamo alla sua provenienza dal Kgb quella sorta di freddezza che lo circonda.
E quando afferma che «
l'espansione della Nato verso est è infinita e avviene a spese delle ex repubbliche sovietiche», gli viene risposto che l'espansione (verso l'Ucraina) non è all'ordine del giorno. Forse oggi no, ma domani?
Questa è una riposta (Scholz) che può sopire in qualche modo l'attuale tensione, ma la si sta solo rimandando, non si sta risolvendo alcun problema.
La visione della Germania, ma non solo, si ferma a uno scenario temporale immediato, quella di Putin è di più ampio orizzonte e i suoi sono i tempi lenti della storia (e dell'impero).
Non si può dimenticare un fatto importante: un accordo tacito (e purtroppo mai scritto) tra Bush senior e Gorbaciov... e siamo tornati indietro di oltre 30 anni. L'intesa tra i due prevedeva che la Russia avrebbe rinunciato alla sua egemonia sull'Europa orientale (erano i tempi dell'unificazione tedesca) e gli Stati Uniti non ne avrebbero approfittato per estendere la loro influenza politica sulla regione.
Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania sono diventate membri dell'Unione Europea e hanno aderito alla Nato. La Russia, osservando una qualunque carta geografica, è completamente accerchiata.
Non dovrebbe quindi stupire più di tanto se Putin sente il bisogno che paesi come la Bielorussia, la Georgia e l'Ucraina restino completamente neutrali.
Per molto meno - e per minacce ancor più risibili - l'Onu o la Nato o gli Stati Uniti sono intervenuti militarmente o hanno minacciato di farlo.
O forse i missili di Cuba valevano più dei missili Nato che sono installati o possono esserlo in qualsiasi momento nei paesi aderenti all'alleanza?
A fronte di questo problema ne esiste un altro che per noi occidentali (ma non dimentichiamo che anche la Russia, pur con le sue diversità, ha sempre avuto una vocazione occidentale) assume un particolare valore: i paesi dell'ex impero sovietico sono paesi a sovranità limitata o hanno il diritto di scegliere il loro modello economico e politico di riferimento?
La Russia ricorderebbe allora anche il diritto all'autonomia di aree come Donbass, Donetsk e Lugansk (accordo del 2014 mai attuato).
Il dilemma è sempre il solito: libertà o sicurezza?