EXCALIBUR 99 - luglio 2017
nello Speciale...

Una mostra per i Combattenti della R.S.I.

Al tempo delle "radiose giornate" del 1945 ero troppo piccolo per capire cosa fosse la Resistenza, ma ne ho conosciuto i riflessi postbellici nel 1964.
La destra cagliaritana era consapevole che per il 25 aprile si sarebbe riproposto il solito rituale fatto di altisonanti discorsi celebrativi e deposizione di corone di alloro al Parco della Rimembranza, ma per quell'anno il Gruppo provinciale della "Giovane Italia" aveva deciso di allestire una mostra fotografica per ricordare i caduti della Rsi e mostrare il vero volto della lotta partigiana che era ben lontana dall'essere fatta di indomiti combattenti per la libertà.
La mostra cominciò a prendere corpo in gennaio per iniziativa del Direttivo dell'associazione (Emilio Belli, Paolo Camedda, Arialdo Carrada, Giorgio Usai, Peppino Cedrini, Umberto Marongiu) con la preziosa collaborazione di Rita Murgia e di alcuni "anziani" ex-missini coi quali si era avviata una fattiva collaborazione: Giorgio Aime, Italo Parisi noto Pirandello, Buicu Maccioni e l'infaticabile Tonino Meloni, già combattente a Bir-el-Gobi col reggimento GG.FF. e, dopo la Battaglia di Tunisia, prigioniero di guerra non collaborazionista negli Stati Uniti. Purtroppo di questi splendidi amici è ancora in vita solamente Buicu.
La mostra si proponeva di affrontare a fondo la vicenda della Rsi, per cui la fase di preparazione si rivelò più impegnativa del previsto, ma venne completata in tempo grazie anche al generoso contributo di Pietro Caporilli, famoso inviato di guerra che fornì diversi pannelli espositivi corredati di foto e didascalie. La mostra interessava l'intera sede a partire dal saloncino della presidenza fino alla camera che si affacciava sulla Via Manno. La stanza più grande, che era stata sistemata a sacrario, ospitava una grande bandiera della Repubblica Sociale con un busto in gesso del Duce opera dello scultore sardo Ciusa-Romagna. Dietro la bandiera era stato sistemato un registratore geloso, che mediante un circuito chiuso di fattura artigianale riproponeva senza soluzione di continuità "La preghiera del legionario". L'ambientazione era completata da decine di elenchi su carta lucida sospesi alle pareti recanti i nomi scritti col normografo di centinaia di militari della Rsi uccisi dai partigiani. Il sacrario diventò un luogo di raccoglimento che non mancava di suscitare viva commozione nei tanti reduci della Milizia accorsi a visitarlo da tutta la provincia.
Nel 1964 la mostra venne visionata in forma privata dal Commissario Corrias, allora Capo della Squadra Mobile, che non ebbe nulla da eccepire. Le cose andarono diversamente nel 1965, in quanto ricorrendo il ventennale della Liberazione il Questore Guarino aveva avvertito i responsabili della Giovane Italia che non avrebbe tollerato alcuna provocazione di stampo fascista. Da parte dell'associazione, si intendeva soltanto riproporre l'esposizione dell'anno prima, incrementando gli opuscoli sulla Socializzazione e sulle FF.AA. repubblicane da destinare al pubblico. In quei tempi la "Giovane Italia" non disponeva più di una sede propria per cui si prese in affitto per una decina di giorni una sala ubicata in Piazza Garibaldi da destinare a sede temporanea e per allestirvi la mostra. Questa decisione venne comunicata alla questura, ma in merito non pervenne alcuna risposta. In via precauzionale era stato preparato un volantino che specificava le finalità dell'iniziativa e andava consegnato preventivamente ai visitatori.
Questa soluzione non servì a evitare l'intervento della polizia, tanto che nella mattinata del 25 aprile, giorno dell'inaugurazione, un folto gruppo di agenti in borghese capeggiati dal Commissario Corrias fece irruzione in mostra dove a Emilio Belli furono contestati i reati di "apologia di fascismo" e "vilipendio alle forze armate della Liberazione" procedendo quindi al sequestro del materiale in esposizione compresi gli elenchi delle stragi. Un solo pannello rimase in posto, quello relativo a Piazzale Loreto, forse perché invece della parola strage compariva la dicitura "Morte di Mussolini".
Le macabre immagini dei corpi straziati di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e dei vari gerarchi furono la sola testimonianza di una importante mostra storica censurata dalle istituzioni. Data la natura politica dei capi di imputazione, la verbalizzazione del sequestro sarebbe stata effettuata il lunedì in Questura. La situazione creata dall'intervento della polizia era nota all'Avv. Pazzaglia, che avrebbe dovuto occuparsi della difesa del presidente della Giovane Italia che era l'unico imputato, per quanto Tonino avesse chiesto, inutilmente, di essere incriminato a sua volta.
Il 26 aprile Emilio Belli rilasciò la sua dichiarazione sui fatti e dopo qualche mese fu interrogato dal giudice che avrebbe dovuto istruire il processo, il quale chiese ragione degli elenchi delle stragi che tanto avevano infastidito Guarino. Il procedimento non ebbe seguito in quanto l'amnistia promulgata per la nomina di Giuseppe Saragat a Presidente della Repubblica estinse l'iter giudiziario.
Per approfondimenti:
- Giorgio Pisanò, "Storia della guerra civile in Italia", Milano 1966
- Piero Pisenti, "Una repubblica necessaria", Roma 1977
- Nicola Cospito - Hans Werner Neulen, "Salò-Berlino: l'alleanza difficile", Milano 1992
- Carlo Mazzantini, "A cercar la bella morte", Venezia 1995
- Giampaolo Pansa, "Il sangue dei vinti", Trento 2003
- Vincenzo Costa, "L'ultimo federale", Bologna 2005
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