La nostra Corte Costituzionale
Francamente è difficile capire la sentenza emessa della Corte Costituzionale il 24 gennaio scorso. Ci sfugge infatti la logica per cui, per esempio, il ballottaggio è lecito nelle elezioni comunali e regionali, mentre sarebbe non costituzionale quello applicato per le elezioni politiche.
Ma è inutile aprire un dibattito sulla conformità o meno delle sentenze della corte ignorando due questioni di fondo. La prima è che i giudici devono valutare la liceità di un provvedimento legislativo in relazione ai princìpi della nostra carta costituzionale, che, come del resto avviene per tutte le costituzioni di questo mondo, ci prospetta il migliore dei mondi possibile. Tanto migliore da sconfinare spesso e volentieri nell'utopia o nella pratica irrealizzabilità. Vedi, per esempio, il diritto alla felicità sancito dalla costituzione americana o, per rimanere alle cose di casa nostra, che il bilancio dello stato deve essere in pareggio o che l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli. In quest'ultimo caso è sufficiente chiamare la guerra "operazione di pace" per sistemare cattiva coscienza, diritto internazionale, corte costituzionale e quant'altro.
La seconda questione è che la Corte, prevista dal costituente principalmente come organo che doveva dirimere i conflitti fra le pubbliche amministrazioni, ha acquisito col tempo anche la funzione di limitazione e controllo del sistema legislativo, ovvero del sistema politico. Riaccendendo così anche in Italia la diatriba secolare tra i fautori del giurista tedesco H. Kelsen, secondo cui è l'ordinamento giuridico che crea il potere politico e C. Schmitt, che, al contrario, afferma essere il potere politico la fonte di ogni ordinamento giuridico.
Non a caso il primo viene considerato di "sinistra", mentre il secondo di "destra". Detto questo, non si può neppure ignorare che la Corte Costituzionale, per la sua composizione e per le valutazioni che è chiamata a dare, di fatto si configura, nel bene e nel male, come un organo più politico che giurisdizionale. Senza voler arrivare all'iperbole di Pannella che definì la Corte Costituzionale "cupola mafiosa", è pur vero che essa è sensibile alle spinte dei vari poteri politici e dello Stato.
E quest'ultima sentenza ne è la dimostrazione: essa non è altro che un sapiente equilibrio fra le esigenze della Presidenza della Repubblica, delle forze che hanno sconfitto Renzi al referendum e dello stesso Renzi a cui viene lasciato il contentino di potersi avvalere di un sistema elettorale simil maggioritario, a patto, però, che ottenga il 40% dei voti.
A tutti i segretari di partito cui è lasciata la facoltà di scegliersi i capilista nei vari collegi. Quanto alle elezioni anticipate è abbastanza singolare che a volerle siano proprio coloro che qualche motivo per temerle pur dovrebbero averlo. Renzi le vuole perché pensa che quei quattordici milioni di Italiani che hanno votato sì al referendum votino tutti per il Pd alle prossime politiche. Salvini e la Meloni perché pensano che questo sia il momento giusto per assumere la guida del centrodestra cavalcando l'onda trumpista e lepenista, mettere fuori giuoco Berlusconi o quantomeno costringerlo a seguirli nella loro svolta politica. Grillo, infine, e non a torto, perché si considera il vero e unico artefice della sconfitta di Renzi e il pretendente più sicuro del 40% dei voti.
A ogni modo la risoluzione della crisi politica non è questione di elezioni anticipate e neppure di vittoria di una delle aree politiche in cui è suddivisa la società. Le elezioni del 2013 hanno visto l'affermarsi di tre gruppi politici più o meno equivalenti: centrodestra, centrosinistra e grillini. Da allora, ogni possibilità di governo stabile passa obbligatoriamente attraverso l'accordo di due di queste forze. Chi ha pensato di eludere con artifici questa necessità, vedi Renzi, ne è uscito male. Difficilmente il risultato delle prossime politiche cambierà il quadro di insieme. Chiunque vincerà, giocoforza, dovrà accordarsi con una delle forze perdenti.
Con un dilemma di non poco conto: accontentarsi di una mezza vittoria o fare la fine di Bersani. Occhio al Cavaliere! Potrebbe essere il prossimo perdente di successo!