Sopra: il libro di Luigi Nieddu "Antonio Gramsci - Storia e mito"
Sotto: Antonio Gramsci
Parliamo oggi del libro di Luigi Nieddu "Antonio Gramsci - Storia e mito", edito nel 2004, perché mai come ora è stato chiaro che non esiste un primato morale della sinistra e che i suoi mali vengono da lontano.
Questo saggio riscrive una pagina della storia del Partito Comunista, svelando con quanta ipocrisia e con quale perfidia sia stato costruito il mito di Gramsci.
Alle origini del più grande partito della sinistra italiana non c'è correttezza, solidarietà, spirito di fratellanza, rispetto per chi si è sacrificato per la causa: la rivendicazione del primato morale sbandierato nel nome di un segretario morto in un carcere fascista è, secondo Nieddu, solo una colossale, spregiudicata, immonda montatura.
Tanto per cominciare chi è Gramsci? Gramsci non è certo un pensatore liberale, come qualcuno ha tentato di farci credere, ma è un marxista leninista, convinto che la liberazione del proletariato possa avvenire soltanto attraverso la rivoluzione. E su questa linea procedono i suoi scritti e le sue azioni, qualche volta non del tutto encomiabili.
Ma forse Gramsci nutre anche il dubbio che, con l'avvento di Stalin, la dittatura del proletariato si sia trasformata in dittatura sul proletariato. E per i tempi non è poco.
Gramsci vede il partito come un insieme in cui varie linee politiche si incontrano, o magari si combattono, ma ognuno porta il suo patrimonio di intelligenza e di esperienza. Questo non significa che sia in disaccordo con Stalin, non in termini assoluti, perlomeno.
I compagni che hanno fatto la rivoluzione d'ottobre, e che ora rappresentano la minoranza che si oppone a Stalin, hanno torto, ma l'accanimento contro di loro è eccessivo, ingiustificabile.
Luigi Nieddu sostiene che l'editoriale "Partito e frazione" apparso sull'ultimo numero di Ordine Nuovo, sia da attribuire direttamente a Gramsci. Vi si sostiene che il frazionismo "obiettivo" di Troskij e Bordiga è da condannare, ma in linea teorica il frazionismo può essere non solo utile, ma indispensabile. Senza la frazione di Lenin non ci sarebbe il Partito Bolscevico.
Per Togliatti, invece, che ben svolge il ruolo di
pappagallo di Stalin, il trotskismo è un'agenzia del fascismo in seno alla classe operaia, e i fondatori dell'Unione Sovietica che oggi si oppongono a Stalin, il quale impone l'unione a tutti i costi, sono banditi contro i quali ogni lavoratore onesto ha il dovere di lottare.
Gramsci non sa che non si può parzialmente dissentire da Stalin, Togliatti lo sa. Togliatti è un comunista trinariciuto, Gramsci è un uomo. Un uomo di grande cultura per di più, formatosi alla scuola di Croce e di Gentile. E, ancora, non è disponibile alla
damnatio memoriƦ dei padri della rivoluzione.
Dopo gli scioperi di Torino, rifugiatosi a Mosca, si scontra con Zinoviev. Anche le future vittime di Stalin, del resto, non vanno per il sottile, e l'uomo Gramsci cade nella rete della Gepeù, che fra l'altro costringe Giulia Schuct, volente o nolente, al ruolo di delatrice, salvo epurarla non appena la sua funzione di cane da guardia diventerà inutile.
Da Mosca, sempre accompagnato da spie, Gramsci viene ibernato a Vienna, tagliato fuori da qualsiasi attività di rilievo e privo di peso sul Partito Comunista Italiano. I togliattiani gestiscono il partito ma non lo controllano, perché la stragrande maggioranza si riconosce ancora in Bordiga.
Dopo cinque mesi di esilio, Gramsci, tornato in Italia da deputato, partecipa a una riunione del gruppo dirigente comunista. Su 67 convenuti, la mozione di Togliatti prende solo 8 voti. La firma di Gramsci non è sul documento presentato alla riunione, ma poi compare nel resoconto ufficiale reso noto a distanza di tempo.
Anche sul fronte dell'internazionalismo comunista le cose vanno male. Quando Gramsci vuole mettere in crisi il fascismo sul caso Matteotti e propone lo sciopero generale, i rapporti fra Mosca e Mussolini rendono vane le speranze di un reale sostegno da parte dei comunisti russi. Mussolini stesso darà atto che il Comintern ha cessato di dargli fastidio dalla primavera del 1923. La Russia fornisce all'Italia materie prime e anche il petrolio necessario a far navigare la nostra flotta.
Si arriva così al congresso (clandestino) di Lione del 20-26 gennaio 1926. Il ricorso a Mosca di Bordiga, sulle procedure precongressuali, viene rigettato. Non poteva essere diversamente; fra poco anche il padre del Partito Comunista sarà dannato!
Il partito si dà una struttura elefantiaca, scimmiottando i comunisti russi: Gramsci risulta segretario generale dell'Ufficio politico, di cui fanno parte Togliatti, Scoccimarro, Terracini, Grieco, Ravazzoli e Ravera.
Non è fra i nomi dell'Ufficio di segreteria: Togliatti, Scoccimarro, Terracini, Grieco e Ravazzoli. E non è nell'Ufficio organizzazione: Scoccimarro, Terracini, Grieco, Camilla Ravera e Vittorio Flecchia. Secondo lo Statuto dell'internazionale, quindi, Gramsci deve seguire solo gli aspetti burocratici dell'Ufficio Politico.
Del resto Togliatti, da Mosca, corrisponde con Scoccimarro, non con Gramsci: Delle quaranta lettere che il futuro amato segretario del Partito Comunista Italiano invia a Roma, nel periodo che va dal congresso di Lione all'arresto del deputato sardo, solo tre sono a disposizione, diretta o indiretta, di Gramsci. Nella cospicua corrispondenza fra Roma e Togliatti, nello stesso periodo, non esiste una sola lettera che porti la firma di Gramsci o che esca dal suo ufficio.
Non è un caso, quindi, che Gramsci sia stato processato come membro del Comitato Centrale e non come segretario del P.C.d'I..
Il 14 ottobre Gramsci compie un'azione imperdonabile: in seguito alle misure adottate da Stalin contro Troskij, Zinoviev e Kamenev, si reca all'ambasciata sovietica, scrive di getto delle note e le invia con corriere a Togliatti, perché le passi al partito di Mosca: esprimono il dissenso più esplicito verso la linea di Stalin.
Il 18 Togliatti risponde che non concorda in nulla con le dichiarazioni di Gramsci e questi, pur ritenendo penosissime le contestazioni di Togliatti, accetta la censura.
Da questo momento Gramsci dovrà combattere la sua battaglia più difficile: restare comunista. Il partito, dal canto suo, farà di tutto per metterlo in difficoltà di fronte al regime, ampliando attraverso pubblicazioni
ad hoc il suo ruolo politico e rivelando documenti sui quali Gramsci si era impegnato a mantenere il riserbo.
Gramsci libero è un elemento ostile, pericoloso perché indisciplinato. Gramsci detenuto è utile per denunciare la disumanità del fascismo, a cui si contrappone lo spirito pacifista del comunismo (mentre in Spagna - Togliatti vi è in quanto uomo di fiducia di Stalin - si massacrano tutti i dissidenti).
Ancor più utile sarà Gramsci morto, perché si potrà fare strage delle sue idee, senza possibilità di replica.
Del dramma umano di Gramsci, della sua terribile malattia, delle reali condizioni di detenzione in case di cura, della sua speranza di tornare in Sardegna, del ruolo di Togliatti e dei servizi segreti sovietici, Nieddu dà la più ampia documentazione che non può essere qui sintetizzata, ma che vale da sola la lettura del saggio.
L'autore avanza anche un'altra ipotesi, suggestiva e drammatica: a scatenare la crisi che porterà alla morte Antonio Gramsci non sarà soltanto l'aggravarsi della sua malattia, ma avrà un peso anche la notizia degli eccidi perpetrati da Stalin in nome del comunismo. Il 23 gennaio a Mosca inizia il processo contro un gruppo di traditori, e il 2 febbraio tredici di loro vengono fucilati. Nello stesso processo Karl Radek, comunista di primo piano già ai tempi di Lenin, e sostenitore della linea dura di Stalin nei precedenti processi, viene condannato a dieci anni. Gramsci lo conosceva bene, anche perché era stato collaboratore di Ordine Nuovo.
Nelle cantine della Ghepeù Zinov'ev, Kamen'ev, Smirnov, Pjatakov e tanti altri venivano eliminati con colpi di pistola alla testa, Radek finisce in prigione e lui vogliono portarselo in Russia! Qualche incidenza questo dramma deve pur averla avuta sulla sua crisi finale!
Quando il 28 aprile viene depositata ufficialmente la denuncia di morte, per Antonio Gramsci è finita l'era dell'emarginazione e della sofferenza e comincia quella della sua apoteosi a opera, prima di tutti, di quel Togliatti che è stato la causa prima -
ex equo con il fascismo - delle sue disgrazie.
Il
pappagallo di Stalin deve sbandierare la figura di Gramsci per farsene arbitrariamente erede e rappresentare l'antifascismo militante. Proprio lui che nell'agosto 1936 aveva firmato l'appello ai fascisti in cui si dichiara che i comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di libertà.
E il problema è tutto qui, nel fatto che Gramsci è stato manipolato dal citato pappagallo, e la sinistra si è piegata, senza tanto indagare, alla sua versione purgata e corretta.
Questo libro, nei limiti del possibile, restituisce Gramsci a Gramsci e svela i trucchi dei pappagalli.
Chissà se la nuova progenie della succitata specie avicola avrà il buon senso di accorgersene!