Una delle tante industrie a rischio di chiusura
La sconfitta di Renato Soru nelle recenti elezioni regionali era nell'aria, ma pochi immaginavano che sarebbe stata così pesante.
Negli ultimi tempi era diventato più prudente, aveva modificato lo stile padronale col quale, per anni, aveva espropriato della sua funzione il Consiglio regionale. Era cambiato anche nell'eloquio, ma il suo richiamo alle istanze della sinistra e del proto sardismo avevano il sapore del falso nella sua stessa area, così come il suo ambientalismo e i riferimenti alla "dignità dei Sardi". Dalla polemica sulla mancanza del "panino sardo" nei bar degli aeroporti isolani era passato all'immissione massiccia di
manager e consulenti provenienti da ogni angolo d'Italia, tanto da far pensare che d'improvviso da noi fossero sparite le competenze e le professionalità che invece gli altri ci invidiano.
In campagna elettorale il centrodestra ha evitato polemiche sulle sue traversie giudiziarie, puntando invece sulle proposte di ripresa economica e sociale, illustrate in ogni angolo dell'Isola da Ugo Cappellacci e dall'ampio fronte che lo sosteneva, che per la prima volta vedeva insieme i partiti tradizionali del centrodestra uniti con le formazioni minori, dall'U.D.S. e
Fortza Paris fino al Partito Sardo d'Azione, il partito più longevo d'Italia (nato nel 1920), che ha pagato con una mini scissione la scelta di campo, che costituisce per la Sardegna un evento storico di grande rilievo e che avrà notevoli riflessi nel nostro futuro politico.
I Sardi si aspettano molto dal centrodestra, perché hanno scommesso su un cambiamento di decisa rottura che dovrà necessariamente manifestarsi per far uscire la Sardegna da una gravissima battuta d'arresto che potrebbe riportarla indietro di trent'anni.
I dati economici sono impietosi, la disoccupazione è tornata a crescere, le industrie del Sud e Nord Sardegna stanno chiudendo, il settore turistico, dopo anni di espansione, è in preoccupante calo, l'agricoltura sembra scomparsa, il terziario in genere sta girando a vuoto.
Tra il 1945 e il 1975 almeno 400 mila sardi sono emigrati in Germania, Francia, Svizzera, Belgio, Nord Italia, in cerca di un lavoro che non trovavano. Oggi l'emigrazione sta riprendendo e lo spopolamento dei centri dell'interno ne fa temere una ripresa.
La speranza è che il nuovo governo di centrodestra si caratterizzi con un programma organico di rilancio economico, capace di rompere con il passato. Anche con quello, non certo esaltante, del precedente governo guidato da Forza Italia e Alleanza Nazionale.
La Sardegna deve abbandonare le vecchie logiche rivendicazioniste con il governo nazionale e deve persino reinventarsi una sua politica "autonomista". Sono finiti i tempi in cui il progetto della rinascita sarda passava attraverso veementi ma velleitari enunciati, oggi anacronistici e fuori luogo: «
Lo scopo della regione è precisamente quello di diminuire i compiti dello Stato», diceva Antonio Segni nel 1944, mentre il sardista Luigi Battista Puggioni nel 1945 affermava che i Sardi avevano «
contro lo Stato italiano tali profonde e incolmabili ragioni di ostilità e di rancore» che potevano essere placate soltanto con l'autonomia integrale.
Anche i comunisti, che inizialmente erano ostili all'autonomia sarda, già nel 1947 con Renzo Laconi chiedevano l'autonomia «
per consolidare la partecipazione della Sardegna alla vita nazionale».
Oggi il problema non sta più nello Stato italiano, che peraltro ha perduto larghe fette di sovranità cedendole alla struttura sovrastatale dell'Unione Europea. A nulla varranno, da ora in poi, gli strali lanciati contro l'Italia per rivendicare specificità regionali o per chiedere maggiori trasferimenti erariali. Per quanto alle specificità, anche i sardisti dovrebbero porre una maggiore attenzione nella ricerca di alleanze europee per la salvaguardia delle identità linguistiche e culturali: Corsi, Baschi, Catalani e persino Bavaresi e Scozzesi trovano attenzione e sostegno nell'U.E., mentre per quanto riguarda i trasferimenti finanziari è meglio stendere un velo pietoso. Ci sono centinaia di milioni di euro nelle pieghe del bilancio regionale che non vengono spesi per totale incapacità della classe politica isolana di varare progetti credibili e duraturi.
L'autonomia amministrativa e finanziaria, nella realtà italiana del 2009, è un fatto acquisito per la Sardegna, per la "Padania" e per qualunque altra regione voglia servirsene. Il federalismo fiscale, tra l'altro, è una realtà di questi giorni, mentre godono di ampie autonomie amministrative anche le regioni non a statuto speciale, come dimostra la Conferenza Stato-Regioni, capace di bloccare ogni progetto ministeriale in contrasto con gli interessi locali.
Nemmeno Giovanni Battista Tuveri, padre dell'autonomismo sardo e primo a parlare di "questione sarda", avrebbe potuto prevedere che la concessione dell'autonomia regionale avrebbe prodotto risultati così deludenti. In un articolo del 1867 sul settimanale cagliaritano "La Cronaca", sosteneva che il vero rimedio per la Sardegna sarebbe stato un ampio decentramento, grazie al quale si sarebbero dissolte «
le lamentazioni di quanti si assumono di parlare in nome dell'isola [...] e che hanno l'aria di limosinanti senza dignità». Tuveri era un uomo combattivo e orgoglioso e perciò pensava che «
a questo grido di pezzenti», incapaci di farsi rispettare e di pretendere ciò che alla Sardegna spettava di suo, occorresse contrapporre opere e progetti fatti da Sardi: «
L'avvenire sta nelle mani di Dio: e Dio aiuta chi si aiuta». Non tollerava, il grande politico sardo, che ci fossero «
i lecca-zampe a sbracciarsi in ringraziamenti e a gridare: "Vedete i vantaggi della nostra fusione con un gran regno!". Generosità da usurai: dimande e ringraziamenti di pezzenti».
Speriamo davvero che la nuova squadra del centrodestra sappia compiere un salto di qualità, passando dalle lamentazioni "elemosinanti" e dalle grida rivendicazioniste a un serio programma capace di riscattare la Sardegna dalle non felici condizioni in cui purtroppo versa.