La lettera inviata dalla Prefettura al Col. Giacomo Ravenna
È singolare che l'esponente antifascista nel denunciare fatti penalmente assai rilevanti che nel periodo preso in considerazione erano di competenza dei tribunali militari, non faccia un solo nome né pensi di rivolgersi alla magistratura, alla stampa (tra l'altro la concentrazione antifascista controllava "L'Unione Sarda") o direttamente all'opinione pubblica. Anzi l'Avv. Siotto ci tiene a comunicare al prefetto che dei fatti citati non si è volutamente fatta menzione nei vari ordini del giorno resi pubblici dai comitati antifascisti. La realtà è che a fronte a un'indubbia vivacità (perlomeno nell'azione propagandistica) degli irriducibili del fascismo, i vari comitati antifascisti erano consapevoli di rappresentare solo sé stessi o poco più, a fronte di una popolazione che era certamente apatica e indifferente, ma che pure aveva giudicato negativamente il voltafaccia nei confronti dell'alleato tedesco e che ben poco aveva da recriminare sul ventennale governo fascista dell'isola. A ciò occorre aggiungere che tutto l'apparato pubblico era restio e non ne vedeva l'esigenza di procedere a un repulisti generalizzato dei fascisti.
C'era poi da considerare, e non era certo un fatto secondario, che nelle stesse forze armate di stanza in Sardegna, erano presenti, soprattutto fra i paracadutisti della divisione "Nembo", gli ex della milizia e gli ufficiali e forti nuclei filofascisti. Stupisce, ma non tanto, l'acredine contro la totalità dei comandanti (per lo più sardi) delle stazioni dei carabinieri, stante il fatto che allora l'Arma era considerata fedelissima alla monarchia e a Badoglio e sostanzialmente antifascista. Ma, aldilà delle connivenze col neofascismo, con tutta probabilità "bruciava" all'Avv. Siotto il fatto che nelle relazioni d'ufficio i carabinieri giudicavano negativamente la stragrande maggioranza delle persone designate dai comitati antifascisti a ricoprire pubblici incarichi e al contempo esprimevano pareri positivi sui fascisti che ancora detenevano cariche pubbliche, segnatamente i podestà.
Il prefetto, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, nel leggere la lettera non sobbalzò nella sedia, né tanto meno si precipitò a mettere all'erta la pubblica sicurezza civile e militare, né, cosa più che logica, ordinò che venissero effettuati arresti, né, cosa ancora più grave, nella relazione che mensilmente inviava al governo, accennò al fatto.
Con calma, dieci giorni dopo riportò in una lettera indirizzata ai vari comandi dell'Arma, le considerazioni dell'Avv. Siotto, con preghiera di svolgere opportuni avvicendamenti nei comandi delle stazioni dei carabinieri. Il comandante della legione dei carabinieri di Cagliari, Col. Giacomo Ravenna, ci mise sei giorni a rispondere: si farà tutto ciò che il prefetto chiede, però ci vorrà molto tempo, le stazioni dei carabinieri sono 280, c'è il problema di reperire gli alloggi, c'è il problema dei trasporti, etc.. Ma, come dire,
in cauda velenum, scrive infatti il Col. Ravenna: «
mi riusciranno gradite quelle specifiche segnalazioni che V.E. intendesse inviarmi al riguardo, che contribuiranno a normalizzare dove maggiormente necessario le situazioni dei comandi dell'arma, evitando che con un avvicendamento generale [...] continuino a permanere nelle attuali sedi elementi che è invece opportuno allontanare con precedenza sugli altri».
Come dire: o mi fai i nomi o ognuno rimane al suo posto. Quanto ai fascisti nessun cenno.
Non si conoscono ulteriori passi del prefetto, del resto, anche lui, pare fosse un nostalgico di Mussolini.