Il poliedrico governatore sardo Renato Soru mentre ne pensa una delle sue
In un precedente articolo avevo cercato di spiegare la complessità e i condizionamenti delle politiche energetiche nel mondo industrializzato. Petrolio e gas, dicevo, per la loro scarsità sono contesi dagli Stati a economia moderna, fortemente
energivori. Il futuro dominio del mondo, sostenevo, è in mano ai produttori di fonti energetiche, che potrebbero, per un motivo grave ma non impossibile, bloccare i flussi. In sintesi, bene farebbe l'Occidente a riprendere la produzione nucleare, sebbene rischiosa e problematica per la difficoltà di smaltire le scorie.
La fusione nucleare, al contrario della fissione, è capace di produrre scorie che decadono dopo
appena cento o duecento anni: un risultato
accettabile se raffrontato ai centomila anni necessari per lo smaltimento delle scorie di fissione. Peraltro, considerato che il primo impianto produttivo di energia nucleare
pulita nippo-americano entrerà in funzione soltanto intorno al 2030, nel frattempo occorre far marciare mezzi di locomozione, industrie, elettrodomestici e quant'altro accompagna la vita contemporanea. Bisogna quindi utilizzare ciò che si ha, ossia petrolio e gas naturale, i quali, per sventura dei Paesi industrializzati, sono in mano a nazioni e governi turbolenti o inaffidabili. Le fonti rinnovabili, si sa, sono importanti ma rappresentano soltanto il 7% della copertura del fabbisogno energetico italiano, e d'altronde sono di difficile realizzazione perché si scontrano con l'ostinata prevenzione di una parte del mondo ambientalista, incapace di proporre soluzioni concrete. In Sardegna abbiamo l'esempio di Renato Soru, pseudoambientalista che con la realizzazione degli edifici di Tiscali ha rovinato il microsistema dello Stagno di Santa Gilla, con la tacita copertura delle organizzazioni naturaliste di sinistra. Ma che nello stesso tempo vieta l'installazione di impianti eolici in località che certo non trovano l'opposizione delle comunità.
Soru è un esempio tutto italiano (malgrado i suoi falsi richiami alla
sardità) di contraddizione ambientalista interessata: proclama l'esigenza di tutelare l'ambiente, chiude la fascia costiera per preservarla dalle costruzioni, impone tasse di soggiorno per evitare, dice, il sovraccarico turistico che lascerebbe soltanto rifiuti da smaltire. Intanto personalmente gode di ben due ville a pochi passi dal mare: nella prima, a meno di trenta metri dal porticciolo turistico di Su Siccu a Cagliari, vi abita. Nella seconda, proprio a ridosso del mare di Villasimius, vi passa le vacanze: per vedere meglio il mare ha persino fatto tagliare gli alberi che ne nascondevano la vista.
Pseudoambientalisti come Soru sostengono la convenienza delle centrali a carbone, che notoriamente sono le più inquinanti in assoluto, forse perché convinti di trovare ancora consenso elettorale tra i minatori. Credono inoltre, i personaggi come Soru, che sia più semplice abbandonare ogni tentativo di incrementare le fonti rinnovabili (eolico, solare) per rivolgersi verso i produttori di gas, come è accaduto con l'Algeria. Non considerano affatto che quel Paese attraversa una crisi pesante, destabilizzato all'interno da una feroce guerra religiosa e all'esterno da una campagna integralista che ormai sconvolge l'intero Islam. Quando avranno chiuso i conti tra loro, non è difficile immaginare che il vincitore potrebbe anche chiudere il rubinetto del gas. Lasciando la Sardegna e il resto dell'Italia a secco.
L'Occidente deve perciò trovare una soluzione al problema. Gli Stati Uniti, poco parolai e sempre concordi quando si tratta di politica estera, hanno dato una loro risposta. Quasi trenta gigantesche basi militari delimitano ormai tutta la fascia territoriale che divide l'Europa orientale dall'Asia e dal Medio Oriente: non vogliono correre il rischio, in attesa del 2030, di rimanere senza gas e petrolio e non vogliono nemmeno che la Cina o la Russia di Putin ingeriscano più di tanto nella partita. Alle proteste russe sulla presenza militare americana vicino al cortile della loro casa durante il recente G8 di Berlino, gli U.S.A. hanno risposto con la visita di Bush in Albania, che ospita una enorme, nuovissima base navale americana. Soru, e con lui le sinistre italiane, erano convinti che gli U.S.A. avrebbero sgomberato la base di Santo Stefano a La Maddalena a causa delle loro esternazioni giornalistiche. Non sapevano, poveri provinciali, che quelli aspettavano soltanto che fossero pronti i servizi di comfort per i marinai e le strutture civili per i lavoratori albanesi, che hanno ringraziato l'americano nel modo che abbiamo visto alla tv.
Noi Europei, in generale, instupiditi da decenni di soporiferi governi post colonialisti, viviamo un senso di colpa assurdo. Sono decine gli intellettuali, anche di destra, che continuano a dirci che l'Africa e i Paesi arabi scontano le conseguenze della colonizzazione europea. Ci dicono persino, senza provare il senso del ridicolo, che l'Africa era autosufficiente prima che arrivassero gli Europei: cosa mai non provoca un malinteso senso di colpa! Gheddafi è più furbo di loro: ogni tanto avanza rivendicazioni per risarcimenti, e, quando crede che la coscienza italiana sia cotta a puntino, quando vede che intellettuali e mezzi di stampa gli danno corda, chiede al nostro governo di realizzare una seconda Via Balbia, come ha fatto pochi mesi fa con Prodi. Perché la prima Via Balbia, l'unica strada che attraversa l'intera Libia, realizzata esattamente settant'anni fa durante il governatorato di Italo Balbo, senza manutenzione è ormai una gruviera.
Perciò siamo attenti a ogni starnuto arabo e siamo sempre in ansia quando il prezzo del greggio sale o quando minacciano riduzioni nelle estrazioni. Cerchiamo, con coperture ai terroristi e con elargizioni finanziarie, di non infastidire i nostri benevoli fornitori, che ogni tanto ci rinfacciano il colonialismo perché hanno capito l'antifona.
Allora a noi Europei, anche per la nostra idiosincrasia militarista, non resta che tornare al nucleare per gestire da soli le nostre necessità energetiche. Prima che chiudano i rubinetti, prima che Putin decida di dare una ramazzata nel suo cortile, prima che il mondo islamico cozzi militarmente con l'Occidente, o meglio con gli U.S.A., ben decisi a tenergli testa.
Si dice che il mondo stia abbandonando il nucleare. Lo dicono i soliti ambientalisti, maestri nella disinformazione. È falso, perché se l'energia nucleare nel mondo nel 1984 era di 250 Gwe, nel 2004 era già salita a 360 Gwe, con una crescita del 44%. I nuovi reattori in costruzione erano ben 32 nel 2004 e sempre nel 2004 ne erano in esercizio 441. Nel 2005-2006 ne sono stati ordinati altri sette. L'energia nucleare produce l'energia elettrica per il 35% in Europa e per il 25% nei Paesi dell'O.C.S.E.. È tutto fuorché un'uscita di scena del nucleare. L'Italia ha tecnologie d'avanguardia, ma ha le centrali di Caorso, Trino Vercellese, Latina e Garigliano chiuse da anni (fonte 2007 - Associazione Italiana Nucleare). Abbiamo commesso l'errore di compiere una scelta penalizzante dal punto di vista economico, con l'idea di meglio tutelare l'ambiente. Ma sull'uscio di casa la Svizzera, che ha varato la legge federale sul nucleare fin dal 1946, la Francia e i nuovi Paesi dei Balcani producono energia atomica e ce la rivendono allegramente. Nessuna barriera alpina potrebbe fermare l'inquinamento, in caso di guasto in quelle centrali. Che senso ha continuare a comprarla a caro prezzo, quando potremmo produrla in casa, a minori costi e con maggiore sicurezza?