Una via di Verona intitolata a Sergio Ramelli
Da "Il Corriere della Sera" del 30 aprile 1975 (di Leo Siegel)
Morto lo studente missino aggredito dagli ultrà di sinistra.
Dopo 47 giorni di agonia è spirato ieri, all'ospedale Policlinico di Milano, lo studente di 19 anni Sergio Ramelli, militante del "Fronte della Gioventù", l'organizzazione giovanile del M.S.I., aggredito di fronte al portone di casa il 13 marzo scorso da un gruppo di giovani dell'ultrasinistra armati di chiavi inglesi e spranghe di ferro.
Ramelli era stato trasportato al Policlinico e sottoposto a un intervento chirurgico durato oltre 5 ore. I medici riuscirono a ricostruire parte della calotta cranica fracassata e della membrana cervicale, ma definirono le condizione del giovane "disperate". Lentamente il ragazzo aveva iniziato a riprendersi: cinque giorni fa era stato interrogato e aveva detto di non aver mai visto prima i suo aggressori. Ieri un improvviso collasso lo ha stroncato. Sergio Ramelli non era nuovo alle aggressioni: studente dell'Istituto "Molinari", aveva dovuto passare a una scuola privata sotto la pressione di continue minacce provenienti da gruppi della sinistra extraparlamentare, ma anche dopo il trasferimento le intimidazioni erano proseguite con continue telefonate minatorie. Poi, il 13 marzo scorso, la criminale aggressione. Tre o quattro giovani lo avevano atteso sotto casa, in Via Amadeo, e lo avevano selvaggiamente colpito al capo e al corpo con spranghe e chiavi inglesi. Se fosse sopravvissuto sarebbe rimasto completamente paralizzato.
Da "Il Candido" del 15 maggio 1975
È nato un nuovo reato: il "funerale sedizioso" - Ramelli, un morto che fa paura.
A ridosso dell'obitorio, uno schieramento incredibile di polizia in perfetto assetto da guerriglia: caschi con la visiera abbassata, manganelli, scudi di plastica, fucili. I funzionari della questura milanese hanno un ordine ben preciso: questo funerale "non s'ha da fare".
Non crediamo di peccare di ottimismo se diciamo che tra loro c'è chi, in quel momento, si vergogna. Non dev'essere gradevole minacciare di arresto uomini e donne, giovani e adolescenti che escono dalla camera ardente con il volto rigato dalle lacrime.
La cassa è ancora aperta, Sergio Ramelli è vegliato sino all'ultimo dai parenti e dai coetanei del "Fronte" e del "Fuan". Ha la testa bendata sino alle sopracciglia, il volto tirato e sofferto: i 49 giorni di atroce agonia hanno lasciato il segno. Qualcuno dice che è irriconoscibile.
La stampa del regime ha fatto l'impossibile per evitare un cordoglio di massa attorno a questo ragazzo. Notizie distorte, contraddittorie, orari sballati, dichiarazioni inventate di sana pianta e attribuite ai genitori: un guazzabuglio artificiosamente creato per tenere la gente lontana dalla mesta cerimonia. I funzionari di P.S. hanno i nervi tesi: fermano il consigliere comunale missino Staiti, fermano altri sconosciuti, spintonano bruscamente e minacciano a sua volta di arresto un prete che osa protestare. Qualcuno cerca l'incidente a tutti i costi per trasformare questo pellegrinaggio in una rissa. La sporca speculazione elettorale non si ferma neppure davanti a un ragazzo diciannovenne assassinato nel modo barbaro che sappiamo.
In questa Italia culla del cattolicesimo, guidata da trent'anni da un partito che ha fatto della croce un volgare simbolo di potere, si discriminano anche i morti. C'è chi ha diritto al corteo in Piazza del Duomo e chi non ha neppure diritto a un normale funerale dall'obitorio alla chiesa. «
È uno schifo - protesta qualcuno -
cose del genere non sono avvenute neppure per Jan Palak a Praga»; «
Non è questa l'Italia per la quale ho combattuto», gli fa eco un religioso che esibisce il fazzoletto azzurro dei Volontari della Libertà, «
Questa non è un'Italia né libera né democratica».
Poiché la gente continua ad arrivare, poiché i marciapiedi nereggiano ormai di folla, c'è un tentativo di far sparire anzitempo la salma del ragazzo. Dovrebbe lasciare la camera ardente alle 15,15, ma si vogliono stringere i tempi, fare uscire alla chetichella questo morto scomodo. Vi si oppongono, indignati, il fratello e gli zii, invitati a firmare il visto in assenza dei genitori. Nessuno firma. Gli animi attorno all'obitorio si scaldano. Un fotografo si permette di rivolgere l'obiettivo verso alcuni poliziotti: gli saltano addosso e salva a stento macchina e rullino. In compenso, dall'adiacente università c'è chi con il volto coperto da un fazzoletto rosso mitraglia indisturbato con teleobbiettivi la gente che sosta sul piazzale. Serviranno a ingrossare gli schedari dei guerriglieri comunisti e a organizzare nuove spedizioni punitive del tipo di quella che ha assassinato Sergio Ramelli. C'è chi vorrebbe reagire, visto che la polizia non fa una piega, ma l'autocontrollo prevale. Non bisogna cadere nel gioco della provocazione, non si deve offrire il destro agli avvoltoi della speculazione. «
Per noi il funerale è un corteo non autorizzato - ribadisce il funzionario della questura -
e questa è un'adunata sediziosa. O la sciogliete oppure siamo costretti a caricare. Abbiamo degli ordini precisi, e dobbiamo farli rispettare, è inutile che vi mettiate a discutere con noi».
Senatori, deputati, dirigenti federali e giovanili fanno opera di moderazione, tentano di spegnere la legittima, comune esasperazione. Almeno per rispetto ai genitori di Sergio non si può trasformare l'obitorio in un campo di battaglia. Così la gente si avvia alla spicciolata verso la chiesa distante circa un chilometro. Le decine e decine di corone vengono trasportate da gruppi di giovani. I negozi, lungo il percorso, hanno le saracinesche abbassate in segno di lutto. I proprietari, i commessi, sostano sui marciapiedi. Attendono, illusi, il passaggio del corteo funebre. Hanno dei fiori in mano, ma non potranno gettarli sulla bara. Volenterosi spiegano cosa sarebbe accaduto se ci si fosse permessi di fare un funerale "non autorizzato" e il numero degli increduli sovrasta quello degli indignati. Quasi tutti, allora, si trasferiscono sul sagrato della chiesa, dove Sergio Ramelli arriverà a bordo di un'auto delle pompe funebri. Tre quarti del vasto sagrato sono occupati da giovani e giovanissimi, da ragazzine, sono facce pulite assolutamente nuove, estranee alla politica: i coetanei di un intero quartiere si sono radunati per porgergli l'estremo saluto. Ci sono ex compagni di scuola dello stesso Molinari, amici del bar, compagni della squadra di calcio in cui Sergio giocava con buon profitto. Sul verde delle aiuole, sotto un sole già estivo, tutte quelle magliette colorate, quei
jeans suggerirebbero l'idea di un
festival giovanile. Invece è l'epilogo dell'ultimo viaggio milanese di Sergio Ramelli.
Al passaggio della bara, portata a braccio negli ultimi metri da Almirante e Servello, qualcuno applaude, qualcuno getta dei fiori, qualcuno piange. Le navate della chiesa sono gremite. Sui muri esterni, allineate, le corone di fiori, a decine. C'è anche quella del Presidente della Repubblica. In mattinata un fiorista l'aveva scaricata in Via Amadeo, 40, sotto la casa di Sergio. Era partita per ultima, perché invano si erano attesi i tradizionali corazzieri o i meno tradizionali vigili urbani. Visto che non arrivava nessuno, due ragazzi avevano provveduto al trasporto.
Dopo la funzione religiosa, dopo la breve orazione funebre di Almirante, l'ultimissimo viaggio per Lodi, dove un centinaio di ragazzi si unisce ad altre centinaia di giovani provenienti da Milano. Una delle tante corone, finisce a venti metri dalla tomba di Sergio, a ridosso di una croce senza fotografia e pressoché anonima. Sotto, riposano le spoglie di Giancarlo Esposti, un giovane che, in buona fede, aveva scelto una strada sbagliata e quando se ne accorse era ormai troppo tardi.