Anni '30: equipe medica in visita alle famiglie di uno stazzo
del Sulcis
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Dopo l'epidemia di coronavirus nulla sarà come prima».
È questo il ritornello che ci sentiamo ripetere e che non significa assolutamente nulla.
Una cosa è però certa: il virus così malefico, soprattutto nei confronti di noi anziani, ha fatto riemergere nella nostra memoria povertà, fame, calamità ed epidemie legate alla guerra e ai primi anni del dopoguerra. In particolare il sottoscritto si è ricordato di essere diventato, oltre mezzo secolo fa, un "esperto" in malattie infettive e successivamente anche un epidemiologo.
La cosa ebbe inizio nel 1967, quando, vivendo nell'indigenza più nera, accettai il consiglio di una mia zia democristiana di partecipare a un concorso indetto dall'amministrazione provinciale per essere ammessi a un corso di "addetto ai laboratori di siero-batteriologia medica".
Superai la prova. Dopo due anni fui assunto presso il Consorzio Provinciale Antitubercolare.
Dopo 7 anni di attività mi laureai in Scienze politiche con una tesi in statistica "Su alcuni aspetti sociali della epidemia tubercolare nella città di Cagliari dal 1960 al 1974".
Tutto questo per dire che non scrivo da dilettante, ma da conoscitore della materia. La Sardegna per secoli è stata flagellata da epidemie di ogni tipo: malaria con le relative febbri, peste, dal XIV al XVIII secolo vaiolo, tifo petecchiale, tubercolosi, morbillo, tracoma, giusto per citare le principali.