EXCALIBUR 102 - marzo 2018
in questo numero

L'informazione e la sua influenza

L'equilibrio dei poteri esiste?

di Arcangelo Furriau
Dal popolo reale al popolo virtuale...
«... della difficoltà, o forza dell'impossibilità, di trovare un varco tra la "scilla" del legalismo, e la" cariddi" dello stato d'eccezione. Tra la regalità della legge, e la sovranità sulla legge» (tesi di Karl Schmit)

Libertà e comunicazione.
La nobile arte del giornalismo è probabilmente finita. Quest'arte che nasce qualche secolo dopo l'invenzione della stampa è stata praticata, e ancora si pratica, per informare sui fatti vicini e lontani che accadono.
Non tutti però potevano informarsi; solo quelli che sapevano leggere. Gli altri dovevano giocoforza ascoltare il racconto di chi sapeva leggere; tra l'altro era anche più facile. Ma una storia trasferita oralmente più e più volte diventa, infine, un altro fatto e molto spesso "un pettegolezzo". Solo con la società post-industriale e con la scolarizzazione di massa tutti sanno leggere e ogni tanto scrivere. Ma è accaduto che per poter vendere più giornali, nelle più complessa società, sono diventati pettegoli i giornalisti.
L'apice del pettegolezzo si ebbe durante i dieci anni della rivoluzione francese, 1789 - presa della Bastiglia, 1799 - rientro sul trono di Francia dei Borboni. E fu un Sardo a rendere il pettegolezzo rivoluzionario, facendolo diventare sistema di condanna con le liste dei nomi delle persone che dovevano essere ghigliottinate, perché nemici del popolo.
In verità le accuse erano quasi sempre futili e soprattutto l'unica colpa dell'indicato dal giornale spesso era la presunta nobiltà di una persona. Questo giornalista che forniva l'elenco delle persone che bisognava decollare al tribunale rivoluzionario del 1793, si chiamava Jean Paul Marat. La "t" fu, da Jean Paul, aggiunta per francesizzare il cognome sardo Mara.
Ne uccisero su sua indicazione nel giornale da lui fondato, "L'ami du peuple", più di 1.200. Poi morì assassinato dalle pugnalate di Charlotte Corday, la fidanzata, che per questo assassinio venne lei stessa ghigliottinata.
Col procedere della rivoluzione e l'alternarsi al potere dei gruppi contrapposti, si capì che bisognava regolamentare anche la stampa e le idee dei giornalisti. Questi immediatamente si volsero a servire il potente di turno.
Ancora oggi in molti stati, tranne che negli Stati Uniti d'America, in Inghilterra e qualche altro paese del nord Europa, è così. Permane inoltre, ancora pervicacemente, l'idea che le informazioni siano al servizio dei cittadini e/o del popolo. E fu così che il popolo si organizzò per poter comunicare con i nuovi strumenti tecnologi. Così come l'invenzione della stampa ha dato origine ai giornali e ai giornalisti, così l'informatica ha dato origine ai nuovi diffusori di massa di idee e comportamenti.
I social ogni giorno fanno la differenza tra una notizia e un'idea, trasformando tutti in giornalisti. Poi capita che qualcuno sa meglio scrivere e comunicare di altri ed essere più convincente, ma rispetto al 1700-1800 questa volta si parte alla pari.
Questa è una vera e propria nuova Rivoluzione.
Chi ha capito questa nuova era sono i partiti politici. Non è un caso.
I politici hanno bisogno del consenso e perciò tutte le opportunità devono essere sfruttate per stare al potere. Ma forse loro stessi non sanno che il vero potere ce l'ha l'opinione pubblica, che oramai i nuovi "social" stanno creando.
Le considerazioni nascono spontanee: si induce "il popolo" come nel caso di Marat, a stare con o contro qualcuno oppure si asseconda il popolo alle idee e ai comportamenti che ha liberamente deciso?
Facciamo l'esempio dell'istituzione della giustizia. Una persona viene condannata dai magistrati in base alle leggi che qualche secolo prima hanno stabilito persone secondo la cultura e i comportamenti di quel tempo. Tale informazione arriva ai social, Facebook, Twitter, ecc., che non condividono tale sentenza perché la percezione dei nostri tempi è diversa da quella dei nostri nonni: sarà giusto cambiare quelle leggi o no?
Come si potrà combinare una nuova giustizia che sia in nome del popolo vero? Oggi i tribunali sentenziano in nome del popolo italiano. Del popoo virtuale? O di quello reale fatto di followers che piacciono o no?
Per fare un semplice esempio: un giornalista pubblica una sentenza che leggeranno più o meno 200 persone, le quali pure condividono i commenti del giornalista, ma 5.000 persone sui social non condividono i commenti di quel giornalista e quella sentenza; in nome di quale popolo hanno sentenziato i magistrati?
Sarebbe giusto far sentenziare il vero popolo e non i preposti alle istituzioni, soprattutto su quelle non elettive come la magistratura. Mi si potrà opinare che queste forme organizzative statali sono quelle create dalle lotte nella rivoluzione francese, come la suddivisione dei tre poteri; legislativo, esecutivo, giudiziario.
Ma replico "ci siamo sbagliati" non c'è equilibrio. Chi ha preso il vero potere? Interessante a tale proposito il libro di Piero Tony ex magistrato "Io non posso tacere".
Perché il rischio attuale è che la società ricada nel periodo dell'inquisizione di torquemadesca memoria, che tanti crimini ha commesso in nome della giustizia, seppur divina, basandosi quasi sempre sulla quantità del consumo della carne di maiale delle famiglie ebree convertite al cristianesimo, su informazione agli ispettori cattolici dei vicini di casa che "sbirciavano" i "marranos", molti e più del terrore Roberspierrista.
A tale proposito è istruttiva una visita al museo dei supplizi a Toledo in Spagna, dove è evidente l'industria della lotta all'eresia. Tuttavia, l'idea che il popolo debba dare il proprio giudizio, non solo morale, non è moderna. L'"eliea" era, nelle città greche, una mega riunione di cittadini scelti a sorte nelle varie tribù della "polis" per dare il proprio giudizio nelle dispute civili e penali. Si lottava per la propria immunità o per la distruzione dell'avversario. Il che non eliminava spesso malafede e "combine".
Molto tempo dopo la battaglia ideologica domenicana, quelli dei supplizi di Toledo, si camuffò come lotta a reati comuni. Per ora la Bastiglia è presa; il primo atto della nuova rivoluzione è fatto, piaccia o meno.
Anzi non piace a molti governi; questi hanno deciso: lotta serrata contro le "fake news", cioè le notizie palesemente false.
Chi lo stabilisce se una notizia è "fake"? Forse è il caso di comunciare a combattere le "old fakes"?
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